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Non credo sia il caso di rifare qui la storia personale e politica dei firmatari del Manifesto di Ventotene. Grazie al cielo sono ancora abbastanza noti, come è noto che si trovassero a Ventotene non come possono aver fatto molti di noi ieri o l’altro ieri, o qualche anno fa, cioè da turisti, ma da confinati, cioè da intellettuali che si opponevano al regime fascista di Benito Mussolini e che per questo crimine erano stati mandati al confino, a Ventotene. Lì, nel pieno svolgersi della Seconda Guerra Mondiale, nel clangore delle armi che opponeva europei nazisti o fascisti a europei liberi, mentre si combatteva con le armi in mano e le ronde di regime presidiavano tanti quartieri, chiudevano giornali e perpetravano i crimini che tutti conosciamo, loro hanno pensato l’Europa unita. Un pensiero visionario, allora come oggi, visto che l’Europa non c’è perché non crede in se stessa. C’è solo, e per fortuna, una moneta, oggi, chissà domani.

Il pensiero europeista di quel Manifesto è stato citato abbastanza impropriamente da Giorgia Meloni alla Camera dei Deputati nelle ore trascorse. Vediamo perché impropriamente. All’inizio delle sue “citazione” lei ha citato la loro intenzione di una “rivoluzione socialista”, limitandosi a soggiungere “vabbè”. Eppure lì, con poche parole, la citazione poteva essere conclusa e sarebbe stato molto importante farlo con il dispendio di pochi secondi. Infatti il testo dice: “La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita”.

Dunque nella loro visione l’Europa era l’orizzonte per realizzare una società di questo tipo, nella evidente consapevolezza che solo l’unione avrebbe consentito di superare gli odii nazionalisti che lo impedivano.

Se Giorgia Meloni avesse citato la frase per intero si sarebbe recuperato il senso di una parola politica molto importante ma da decenni assente dal nostro dibattito politico: socialismo. Di modi per declinare questa idea politica ce ne sono tanti, ma loro indicano la priorità del socialismo: “condizioni più umane di vita”. Le classi di cui parlano dunque oggi possono essere definite; scrivevano dal confino, in un altro mondo, ma sembra si riferiscano di tutta evidenza anche agli inoccupati, ai precari, ai marginalizzati, cioè a quel vasto mondo che non ha più un orizzonte culturale proprio da quando quello che Pier Paolo Pasolini ha definito un “genocidio culturale” ha eliminato sia la cultura operaia sia quella contadina. Il consumismo ci ha lasciato solo con la cultura borghese, al cui spazio sociale però a molti è impedito l’accesso. Forse parlare di questo socialismo sarebbe utile a tutti. Ma capisco che non era questo il discorso che interessava fare.

La seconda citazione riguarda la proprietà privata. La citazione fatta da Giorgia Meloni è stata anche in questo caso molto breve: “Deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso”. Ha ripetuto caso per caso, ma mi sembra che non abbia letto quella frase fino in fondo, infatti prosegue: “ … non dogmaticamente in linea di principio”. Cosa volevano dire? Lo spiegano bene poche righe prima: “Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma – come avviene per forze naturali – essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime”. Siamo nel cuore di una discussione molto attuale, e sono passati tanti decenni. Il mercato si autoregola? Alcuni lo sostengono e mi sembra che i risultati si vedano. La tesi espressa durante il tumulto bellico da chi rifiutava così chiaramente il collettivismo sovietico e proponeva una strada non liberista credo meriti di essere discussa, non associata a quella che avversa.

La terza citazione è quella più lunga e delicata, relativa alla dittatura. Ce ne era una in atto di dittatura, quella fascista. E cosa dicono gli autori del Manifesto di Ventotene? Polemizzano con i comunisti: “Delle varie tendenze proletarie, seguaci della politica classista e dell’ideale collettivista, i comunisti hanno riconosciuto la difficoltà di ottenere un seguito di forze sufficienti per vincere, e per ciò si sono – a differenza degli altri partiti popolari – trasformati in un movimento rigidamente disciplinato, che sfrutta quel che residua del mito russo per organizzare gli operai, ma non prende leggi da essi, e li utilizza nelle più disparate manovre. Questo atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, più efficienti dei democratici; ma tenendo essi distinte quanto più possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzionarie – col predicare che la loro “vera” rivoluzione è ancora da venire – costituiscono nei momenti decisivi un elemento settario che indebolisce il tutto. Inoltre la loro assidua dipendenza allo stato russo, che li ha ripetutamente adoperati senza scrupoli per il perseguimento della sua politica nazionale, impedisce loro di perseguire una politica con un minimo di continuità”.

Solo tenendo ben presente questo si capisce il passaggio citato da Giorgia Meloni. Opponendosi a questa impostazione i firmatari del Documento di Ventotene vedono, negli anni 40, cioè durante la guerra contro il nazifascismo, un’altra prospettiva, quella da loro espressamente citata di alleanza tra classe operaia e “i ceti intellettuali”.

Il passaggio sulla dittatura del partito rivoluzionario che immaginano contro il totalitarismo che opprimeva l’Italia in quegli anni è questo, e Giorgia Meloni lo sa benissimo: “Durante la crisi rivoluzionaria spetta a questo partito organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le forze rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate. Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto, non da una preventiva consacrazione da parte della ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia”. Stiamo parlando di fuoriuscita da un sistema totalitario. Si intravede una via rivoluzionaria. Questa “dittatura contro la dittatura” è pericolosa, certo. Lo dicono loro stessi: “Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente sbocciare in un nuovo dispotismo. Vi sbocca se è venuto modellando un tipo di società servile. Ma se il partito rivoluzionario andrà creando con polso fermo fin dai primissimi passi le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e perciò nel senso di una crescente possibilità di funzionamento di istituzioni politiche libere!”.

Come è chiaro a chiunque legga con onestà siamo nella terribile situazione di immaginare una fuoriuscita dalla dittatura, che non si può fare con abrogati sistemi democratici. Ma ciò che conta, nell’esposizioni di tesi contingenti, è l’orizzonte europeo, la fuga cioè da quei nazionalismi malati che avevano portato l’Europa dove era. È la forza visionaria di quell’orizzonte europeo, che liberandoci dal male dei nazionalismi estremi e servilismi avrebbe rivitalizzato anche la parte sana di ciascuno: infatti poche righe dopo quelle citate da Giorgia Meloni e qui completate con fedeltà al testo, ci si appella, a chi? A “coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo”. Chi si rivolge a tutti i movimenti di elevazione dell’umanità si rivolge chiaramente anche ad altri, non ha la pretesa di essere il tutto, e questo mi sembra un punto essenziale per il nostro oggi.

Il Manifesto di Ventotene e il pluralismo, durante la dittatura. La riflessione di Cristiano

Lì, nel pieno svolgersi della Seconda guerra mondiale, nel clangore delle armi che opponeva europei nazisti o fascisti a europei liberi, mentre si combatteva con le armi in mano e le ronde di regime presidiavano tanti quartieri, chiudevano giornali e perpetravano i crimini che tutti conosciamo, loro hanno pensato l’Europa unita. Un pensiero visionario, allora come oggi, visto che l’Europa non c’è perché non crede in se stessa

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