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Il Consiglio europeo che si è tenuto ieri a Bruxelles ha visto ribadire il sostegno all’Ucraina: un consenso pressoché unanime a eccezione dell’Ungheria di Viktor Orbán, che si comporta sempre più come “testa di ponte” della Russia nell’Unione europea. Tuttavia, è mancato un sostegno completo al pacchetto di misure contenute nel Libro bianco sulla Difesa presentato dalla Commissione europea, lasciando presagire che servirà ancora molto tempo prima che si possa parlare di una vera difesa comune europea.

Nel frattempo, Stati Uniti e Russia proseguono per la propria strada. Il colloquio tra il presidente americano Donald Trump e il leader russo Vladimir Putin è stato un fatto di per sé positivo, dopo anni di dialogo interrotto tra la Casa Bianca e il Cremlino al più alto livello. In questa lunga conversazione tra i due leader, è evidente che non si sia discusso solo di tregua in Ucraina, ma che (a parte progetti di partite di hockey) siano stati toccati anche gli altri punti principali di politica internazionale, dal Medio Oriente agli accordi sugli armamenti e quelli economici per lo sfruttamento delle materie prime energetiche e minerarie. Inoltre, sembra che sia stato solo un primo colloquio, al fine di dare vita a una sorta di restart nei rapporti tra Stati Uniti e Russia: una nuova fase di riavvicinamento e possibile spartizione delle aree di influenza di cui dovremo inevitabilmente tenere conto anche noi europei.

Incominciamo dalla guerra in Ucraina. Il primo passo raggiunto martedì non è ancora sufficiente e lascia fin troppo margine di manovra offensiva alla Russia, ma la tregua si farà, preparando gradualmente il terreno affinché Volodymir Zelensky sia pronto a significative rinunce in termini territoriali ed economici (anche se il leader ucraino sembra ormai incline a seguire le indicazioni di Washington, evidentemente per non perderne la protezione). Il punto su cui Trump dovrà mantenere fermezza – segnalando una vera e propria linea rossa da non oltrepassare – sarà quello relativo alle garanzie di sicurezza di Kyiv, cercando di riaffermare per quanto possibile un equilibrio fra due principi cardine del diritto internazionale, quello del diritto all’autodeterminazione dei popoli e dell’inviolabilità delle frontiere di uno Stato sovrano. Per fare ciò, non basterà inviare degli osservatori internazionali, ma sarà necessario vincolare la Russia a un accordo internazionale che rispetti l’indipendenza dell’Ucraina. In realtà, comunque, per l’amministrazione statunitense la questione ucraina non è che un tassello del nuovo scenario internazionale che ha in mente e che passa soprattutto per una riabilitazione della Russia in modo da sottrarla all’influenza cinese verso cui l’avevano spinta le sanzioni e l’isolamento da parte dell’Occidente.

Nei prossimi mesi, è molto probabile che l’attenzione degli Stati Uniti si concentrerà in modo crescente sul Medio Oriente e sul reale nemico da sconfiggere, ovvero l’Iran. Il riavvicinamento alla Russia è funzionale anche a questo scopo: poiché Mosca è stata tra i pochi a sostenere Teheran in questi anni nonostante l’isolamento internazionale, l’obiettivo di Trump è convincere Putin a togliere il proprio supporto al regime degli ayatollah. Nel frattempo, la Casa Bianca sta cominciando a inviare messaggi abbastanza diretti all’Iran, come il sostegno incondizionato alle operazioni militari israeliane a Gaza contro Hamas e gli attacchi dei giorni scorsi ai ribelli Houthi in Yemen, che sono il simbolo della guerra per procura dello sciismo iraniano contro i sunniti sostenuti dall’Arabia Saudita.

Nel quadro della ridefinizione dello scenario, cosa dovrebbe fare l’Italia? Per il nostro Paese è fondamentale non farsi escludere, cercando di essere presente in tutte le fasi. Per quanto riguarda l’Ucraina, il Governo farebbe bene a considerare l’utilizzo di nostri militari sotto egida internazionale (non solo Onu, ma Osce o altre configurazioni internazionali, come accaduto per esempio in un recente passato per l’Albania): tenendo presente la antica massima che gli assenti hanno sempre torto e che la ricostruzione civile e militare del paese la faranno solo quelli che sono stati in prima linea. A questo proposito, viene in mente il calzante parallelismo storico della guerra di Crimea del 1853-56 quando il Regno di Sardegna (l’Unità d’Italia era ancora di là da venire) grazie alla lungimiranza di Cavour decise di partecipare al conflitto pur senza avere alcun interesse strategico diretto. Insomma, al di là dei complessi equilibri politici da mantenere all’interno della coalizione di governo, l’Italia non può restare fuori da questa partita fondamentale per il futuro e la sicurezza di tutta l’Europa.

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