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Non tanto per valor proprio, quanto per infamia altrui. Due ottave di sapore ottocentesco possono spiegare succintamente la permanenza al potere di Giorgia Meloni. Nel suo anno di potere ha sfornato progetti e politiche (lo dico come abbreviazione) velleitarie (fermiamo la migrazione, lanciamo il Piano Mattei, portiamo i migranti in Albania) e idee (lo dico sempre come abbreviazione) balzane (il premierato). Invece ha trascurato l’economia, il Pnrr ed emergenze come l’acciaieria di Taranto che potrebbero fare esplodere il Paese.

Il suo proposito, intendiamoci, era buono: affrontiamo il problema dell’immigrazione, quello della dispersione dei poteri. Ma le proposte non erano (non sono) “ingegnerizzate”, anche perché non si capisce bene la fisica che sta alle spalle.

La migrazione e questioni annesse, l’abbiamo scritto più volte, è un problema internazionale che non può essere affrontato dalla sola Italia. Né in Africa si può ignorare che la Francia ha forse 20mila militari lì da secoli, mentre l’Italia potrebbe portarne solo qualche centinaio ora. Sul premierato ha scritto bene Giuseppe Boschini (qui), è una formula senza precedenti che crea più problemi di quanto miri a risolverne.

D’altro canto invece, il fatto di trascurare il Pnrr ha ridotto a un rivolo il fiume di denaro che sarebbe potuto arrivare in Italia in mezzo a un’ondata di inflazione, tassa iniqua contro i redditi più bassi. La questione Ilva (a un passo dalla chiusura) potrebbe portare all’esplosione della provincia di Taranto, 500mila abitanti, e della Puglia, con effetti di contagio devastanti su tutto il sud.

Di fronte a ciò l’opposizione fa peggio. Il M5S di Giuseppe Conte è immune al malo morbo della contraddizione, dice tutto e il contrario di tutto. Ciò gli da spazio in palazzo mentre tiene viva l’anima feroce di una minoranza di masanielli bramanti solo il furto di un pezzo di argenteria. Il Pd non riesce ad articolare una frase di senso sotto la guida della povera Elly Schlein, sballottata poi dal leader della Cgil Maurizio Landini, lui ignaro del misero stato dell’economia nazionale.

D’altro canto l’opposizione interna alla maggioranza, guidata dalla lega di Matteo Salvini, cerca di aizzare la piazza, per esempio ordinando precettazioni in uno sciopero che altrimenti sarebbe stato destinato a fallire. Ma poi si ritira prima del passo fatale. Il suo gioco sembra quello di lacerare i poveri nervi di Meloni.

Così, il caos degli altri oggettivamente mantiene il governo al suo posto, ma non è chiaro per quanto tempo. La confusione da entrambi i lati del parlamento, in un momento di grave incertezza internazionale, con due guerre aperte, in Ucraina e a Gaza, e un’altra, più grande, con la Cina, che arde sotto la cenere crea una situazione simile a quella che portò alla fine del secondo governo Conte durante il Covid.

Cioè le sfide interne e internazionali richiedono un colpo di reni che se Meloni non saprà imprimere lo dovrà invece dare un altro esecutivo, più o meno tecnico. Ciò sarebbe un fallimento della democrazia italiana, ma non un tradimento della volontà degli elettori, anzi. Quando alla votazione suppletiva al Senato a Monza di presenta solo il 18% degli aventi diritto c’è la bocciatura di tutta la rappresentanza parlamentare.

L’impressione è confermata poi dal silenzio corale con cui il parlamento ha accolto tale risultato, segno di una “coda di paglia”, incapacità, indisponibilità ad affrontare la questione della mancanza di contatto con il popolo.

Questo non è un voto a un premier o presidente eletto dal popolo con minoranze rionali, ma un suffragio quasi universale per un governo che vada al di là del Parlamento, un esecutivo “tecnico”. Il prolungamento della guerra in Ucraina, il fatto che le operazioni a Gaza potrebbero proseguire per alcuni mesi, le complicazioni con la Cina e nell’Indo-Pacifico non blindano Meloni. Può essere il contrario. Se tempi difficili si prospettano può essere meglio mettere qualcun altro al timone, per il bene di tutti, per evitare che la nave italiana vada a fondo.

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