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Mentre ci si avvicina alla fine dell’anno, l’attenzione delle capitali europee è rivolta come sempre alle leggi finanziarie e, in molti casi, alla negoziazione con Bruxelles sul rispetto delle regole di bilancio. E, puntuali come ogni anno, si fanno sentire le voci critiche verso queste regole. Voci che riescono a essere più assordanti solo in prossimità delle elezioni. Questo perché il dibattito sulle regole è fortemente politicizzato e in ogni Paese l’attenzione è rivolta all’impatto che una loro modifica avrebbe per il governo di turno.

Trattandosi di regole che vincolano le politiche fiscali di ogni Stato, non c’è da sorprendersi che il dibattito sia politicizzato, ma quando ciò viene usato strumentalmente dai partiti per finalità elettorali e di consenso, è forte il rischio che si perda di vista l’obiettivo fondamentale: rivedere e migliorare queste regole per rendere più forte la moneta unica. Una condizione necessaria se si vuole evitare che la prossima crisi finanziaria mondiale rimetta in dubbio la solidità dell’euro, con conseguenze potenzialmente devastanti soprattutto per le economie degli Stati membri più fragili e indebitati.

L’Italia è a pieno diritto tra questi. Ed è per questo che il nostro Paese ha tutto l’interesse perché si proceda al rafforzamento della moneta unica. Il punto di partenza in questa direzione potrebbe essere l’Assessment on Eu fiscal rules presentato all’Ecofin dello scorso settembre dallo European fiscal board. Lo studio ha valutato le regole europee da tre punti di vista: sostenibilità delle finanze pubbliche, stabilizzazione dell’economia in chiave anticiclica e miglioramento della qualità delle finanze pubbliche. La principale indicazione è quella di semplificare le regole avendo come pietra angolare l’evoluzione di medio-lungo periodo del rapporto debito pubblico/Pil. L’idea è quella di ridurre l’attenzione, a tratti ossessiva, verso i parametri da monitorare, a partire da quello del rapporto deficit/Pil che spesso si riduce in una estenuante negoziazione anno per anno sullo zero virgola.

Fondamentale per la dinamica del debito risulta essere la spesa pubblica vista in un arco temporale sufficientemente ampio. Riforme e investimenti strutturali opererebbero positivamente perché potrebbero ridurre il rapporto debito/Pil, anche attraverso il rilancio della crescita. Si abbasserebbe così l’enfasi su criteri come quelli legati alla crescita potenziale di un Paese che risultano non solo aleatori nella modalità di calcolo, ma anche eccessivamente astrusi, spesso oltre i limiti della comprensione per i cittadini. Parlare di quanto si spende e di quanto ci si indebita è decisamente più semplice e immediato.

Certo, questo non vorrebbe dire che si passa da una continua stretta sui conti pubblici a un libera tutti in cui i governi spendono a piacimento. Si riconosce però una flessibilità dosata su più anni, per cui uno Stato potrebbe spendere di più in un anno (anche oltre il detestato 3% del rapporto deficit/Pil) per far fronte a un rallentamento dell’economia, a patto però che sappia risparmiare quando invece l’economia va meglio. Certo, anche questo approccio può avere i suoi difetti, ma ha il merito di andare verso una semplificazione delle regole, senza annacquarle eccessivamente.

Per un Paese come l’Italia che troppo spesso dimentica che uno dei vincoli più stringenti alla sua capacità di crescita è proprio il suo debito pubblico da record (negativo), questa è una proposta da valutare con grande interesse e attenzione. Oltre a criticare i lacci e lacciuoli di Bruxelles, bisogna avere la forza e la credibilità di proporre regole diverse capaci di rassicurare anche i Paesi del nord dell’eurozona. Difendere la moneta unica è nell’interesse dell’Italia.

Agire perché l’attuale impasse sul rafforzamento dell’euro si superi è un imperativo per qualsiasi governo italiano perché se i venti dell’economia mondiale torneranno a soffiare contro, né l’Italia né gli altri Paesi dell’eurozona potranno permettersi di farsi trovare impreparati.

Difendere la moneta unica è interesse (anche) dell’Italia. Il commento di Villafranca

Di Antonio Villafranca

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