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E se fosse la prospettiva “Assad” quella in grado di risolvere la matassa in Siria dopo il via libera americano all’invasione turca nel nord del Paese? Ne è convinto Matteo Bressan, analista e docente, direttore dell’Osservatorio per la stabilità e sicurezza del Mediterraneo allargato (OssMed) della Lumsa, che ragiona sulle vere anomalie di questo dossier, tra discrepanze di valutazioni oltreoceano e ruolo di curdi e iraniani.

La mossa di Trump in Siria quali effetti, nell’immediato, legati alla sicurezza in quella macro regione potrà avere?

Innanzitutto è vero che la maggioranza delle analisi in queste ore si stanno concentrando sul presunto tradimento alle forze curde. Ma c’è anche da considerare il tema della sorte dei combattenti, comprese mogli e figli, che avevano combattuto con lo Stato Islamico e che si trovano prigionieri nelle aree controllate dalle forze curde. È evidente, inoltre, che la decisione di agevolare un’offensiva aerea e terrestre da parte della Turchia in Siria presuppone una risposta che, già in parte, sta arrivando da parte di altri attori regionali.

Come Iran e Russia?

E anche di Damasco. Non è la prima volta che assistiamo a sconfinamenti delle forze armate turche nel Nord della Siria. L’operazione dovrebbe creare una fascia di sicurezza, ancora non sappiamo quanto profonda, in uno Stato “sovrano”, al netto del fatto che, come è noto, la Siria è un campo di battaglia altamente complesso.

Le reazioni saranno parallele?

Ciò che questa offensiva può determinare è creare problemi al cosiddetto fronte di Astana, perché di fatto dal 2016 Turchia, Russia, e Iran stavano portando avanti un’agenda comune anche se con obiettivi politici differenti. Mosca ha evidentemente una sua di ricostruzione della Siria; l’Iran e la Turchia ne hanno un’altra, ma insieme avevano creato uno strumento di confidenza per lavorare sulle zone di de-escalation.

Quello schema è scompaginato?

Sì ed era inevitabile.

Così si rischia di ampliare, in modo azzardato ed esponenziale, influenza e potere di Erdogan?

La Turchia ha sempre visto con grande preoccupazione qualsiasi forma di autonomia, vera o presunta, nel nord est della Siria: non lo scopriamo certo oggi. Ma Erdogan cerca di contenere una minaccia che vede in prospettiva sul suolo turco, per cui ciò che sta avvenendo in queste ore non è un’anomalia. Lo è invece lo scontro fra le dichiarazioni di Trump, del Congresso e dei vari apparati rispetto alla possibilità di uscire o meno dalla Siria e quale ruolo esercitare nel futuro. Per cui è un po’eccessivo dire che 1.500 militari Usa possono decidere il destino della Siria e non va mai dimenticato che gli Usa hanno una tale capacità di potenza da poter influenzare la Siria a migliaia di chilometri di distanza da essa, anche restando in Iraq o altrove. Ma a livello di rapporti di forza tra milizie curde ed esercito turco vedo un cambio.

Le forze curde a questo punto come reagiranno?

Non è detto che quella in corso sarà un’operazione agevole. Basti pensare alle difficoltà incontrate nel 2017 nel corso dell’operazione Scudo dell’Eufrate. Ci sarà da valutare anche la reazione da parte di Damasco.

In che termini?

Negli ultimi due anni ci sono stati spesso contatti tra le varie sigle curde e l’autorità centrale di Damasco. Accordi che poi sono saltati, perché le milizie erano sostenute da Washington che nello specifico non mostra certo una facilità di dialogo con Assad. Cosa può cambiare nel momento in cui queste milizie dovessero essere davvero abbandonate e lasciate alla mercè della Turchia? Vedo un ritorno a condizioni non più negoziabili sotto la protezione di Damasco. Indipendentemente da ciò che si pensi di Assad, quei territori sono della Siria e quindi il male minore può essere un accordo, proprio con Damasco, magari non più in posizione di forza come poteva essere un anno fa.

Se il governo di Damasco riprendesse il pieno controllo di tutte quelle aree?

A quel punto Ankara si troverebbe di fronte al dilemma di dichiarare guerra ad uno Stato “sovrano” e non semplicemente alle milizie curde.

La Turchia intanto raddoppia la condotta illegale per il gas a Cipro, condannata anche da Bruxelles: si apre la possibilità di un’escalation?

Le azioni turche nell’Egeo lasciano intendere un atteggiamento assertivo che pone grandi preoccupazioni nel Mediterraneo orientale. Molti fatti ai quali stiamo assistendo in queste ore potrebbero trovare una spiegazione nella notte del 15 luglio 2016, quando furono altri Paesi a manifestare solidarietà a Erdogan prima ancora degli alleati tradizionali: Russia e Iran.

twitter@FDepalo

 

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