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La Camera dei deputati ha approvato la proposta di legge d’iniziativa popolare promossa dalla Cisl, – che ha raccolto circa 4.000 firme con il sostegno anche e non solo del Comitato tecnico scientifico dell’Ucid (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) – che disciplina la partecipazione dei lavoratori nelle imprese.

Il testo prevede la possibilità di quattro tipi di partecipazione. 1) Gestionale nei consigli di sorveglianza se il modello d’impresa è duale; nei consigli di amministrazione, se il modello è tradizionale. 2) Economica, cioè la partecipazione dei lavoratori ai risultati d’impresa, anche attraverso l’azionariato. 3) Organizzativa, con il coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni dell’impresa. 4) Consultiva (pareri e proposte).

Queste forme di partecipazione si potranno realizzare con modifiche degli statuti che le imprese possono adottare qualora siano disciplinate dai contratti di lavoro. Sono previsti incentivi con una tassazione agevolata del 5% fino a 5 mila euro lordi sugli utili distribuiti. Inoltre, in caso di attribuzione di azioni al posto dei premi di risultato, sui dividendi c’è l’esenzione dalle imposte sul 50% dei dividendi stessi fino a un massimo di 1.500 euro.

Hanno votato a favore tutti i partiti di Centrodestra e, spaccando l’opposizione, anche Italia Viva di Matteo Renzi ed Azione di Carlo Calenda, mentre si è astenuto il Pd e si sono dichiarati contro il Movimento 5 Stelle e AVS.

La proposta ha avuto il sostegno convinto ed entusiasta di tutta la maggioranza di governo con alla testa la stessa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha rivendicato di aver stanziato nella legge di Bilancio 72 milioni per assicurare le coperture finanziarie agli incentivi previsti dalla proposta di legge.

Il Movimento 5 Stelle, AVS ma anche il Partito Democratico ed il sindacato che le fa da supporto – la Cgil – hanno ancora una tale paura dell’alleanza tra capitale e lavoro, da lasciare persino che ci sia chi abbandoni il Pd, come la parlamentare Annamaria Furlan, che ha detto: “Il tema del lavoro è per me caratterizzante, rappresenta l’impegno di una vita: purtroppo molto spesso mi sono trovata nel dibattito e nelle scelte che il Pd ha fatto a non condividere alcune impostazioni, penso per esempio al salario minimo legale” – ha dichiarato l’ex leader della Cisl che si era accasata a sinistra – …“Ho molto sofferto il dibattito interno rispetto alla legge di iniziativa popolare sulla partecipazione dei lavoratori alla governance delle imprese, una legge per cui la Cisl ha raccolto oltre 400.000 firme”. “La scelta di astenersi su un provvedimento che rappresenta molto per chi ha la mia storia politica è stata decisiva”.

“Confindustria – ha evidenziato il vice presidente per il Lavoro e le Relazioni industriali, Maurizio Marchesini – sottolinea la necessità di preservare la natura volontaria e facoltativa della scelta imprenditoriale di adottare eventuali modelli partecipativi duali. È fondamentale salvaguardare la volontarietà di adesione da parte delle imprese ed eliminare i riferimenti ad un automatismo contrattuale”. Come si vede questa volta si è avuto anche il consenso degli imprenditori – anche se non entusiasta come si legge dalle stesse dichiarazioni – che tradizionalmente hanno sempre guardato con sospetto a questo tipo di proposte. Certo, forse, si sarebbe potuto fare qualcosa in più, risultando fortemente maggioritario in parlamento il Destra-centro. Ad esempio: consentire ed introdurre la partecipazione dei lavoratori anche in banche e istituti di credito e, soprattutto, alle società a partecipazione pubblica. Ora il testo della proposta passa all’esame del Senato della Repubblica, ma vigendo ormai un sistema monocamerale, ove la prima Camera esamina il provvedimento e la seconda si limita a ratificare, quasi certamente non vi sarà la possibilità di presentare e far accettare alcun emendamento. Ciononostante resta un fatto storico l’approvazione di questo provvedimento che molti di noi hanno vagheggiato e sognato per tutta la nostra vita.

Questo provvedimento, oltretutto, certamente servirà ad eliminare il forte gap che ci separa da molte altre nazioni europee. Infatti secondo i dati della Federazione europea (Efes, European Federetion Employee Share Ownership) che analizza 32 Paesi e oltre 3.300 società quotate e non, con 35 milioni di lavoratori, nel 2023 in totale, i dipendenti azionisti erano poco meno di 6,9 milioni, in leggera crescita (+3,7%) rispetto al 2007. In Italia il dato del 2023 si ferma a 220.574 (di cui poco più di 93mila nelle 144 società quotate esaminate, gli altri nelle 263 cooperative). Molto meno di un decimo della Francia con quasi tre milioni, del Regno Unito dove i dipendenti azionisti sono oltre 1,7 milioni e della Germania dove sono 877.735.

Le imprese italiane invece non sono moltissime, come Campari che ha dedicato il “Camparista shares” ai dipendenti a tempo indeterminato a livello globale. Poi, solo per fare qualche esempio, c’è la Prysmian, che ha chiamato il programma di incentivazione “Value4all”, valore per tutti. Ad aderire sono quasi la metà dei dipendenti, il 46%, in Italia il 73% e molta parte di loro sono operai.

Prysmian ha 31mila lavoratori, di cui 23mila sono operai, sparsi in tutto il mondo “il piano è partito dall’Italia nel 2007”. Intesa Sanpaolo da tempo ha istituito il “performance share plan”, rivolto ai manager, e il “Lecoip 3.0”, destinato a tutti gli altri lavoratori ed entrato anche negli accordi con i sindacati, per “coinvolgere le persone nel raggiungimento degli obiettivi del Piano d’Impresa e condividere il valore creato nel tempo”. Infine c’è EssilorLuxottica dove ci sono dipendenti azionisti di 86 Paesi. L’obiettivo è di sostenere la cultura e l’identità della società. Leonardo Del Vecchio prima e Francesco Milleri si sono fatti portatori dell’idea di EssilorLuxottica come “casa comune”. Il programma di azionariato diffuso, chiamato “Boost”, nasce nel 2009, subito dopo il matrimonio di Luxottica con Essilor, che aveva già un suo piano.

Mai come oggi, proprio negli anni che vedono la crisi dei corpi sociali intermedi ed, in particolare, della politica, l’idea di coinvolgere i dipendenti nelle scelte, nelle responsabilità e nella ripartizione degli utili dell’impresa può e deve vivere la sua stagione del decollo e della realizzazione. Quella idea di patto solidale tra chi crea e chi alimenta il lavoro può rappresentare una svolta verso la modernità, nella quale solo l’unione di tutte le forze sociali può creare sviluppo con la mediazione non conflittuale dei corpi sociali intermedi. Solo la “partecipazione” infatti può respingere i ricatti della globalizzazione e la violazione dei diritti e delle professionalità personali.

La Dottrina sociale della Chiesa ha da sempre in sé le risposte che l’economia chiede alla politica, alla comunità, alle stesse famiglie e si sviluppa, nel segno della coerenza con un percorso di vita e di fede. Gli insegnamenti dei Pontefici nelle encicliche, da Leone XIII in poi, hanno messo al centro l’uomo, ma anche il lavoro e il profitto eticamente sostenibile: categorie che possono convivere nell’idea di una società pluralistica, solidale ma anche produttiva, meritocratica, egalitaria nelle condizioni di partenza, ma non asfissiante nelle ambizioni individuali, libera ma anche fraterna. Quel pensiero “partecipativo” che la Dottrina sociale della Chiesa ha declinato dalla enunciazione di principio per farne progetto, idea, piattaforma “politica” risulta oggi più che mai essere di straordinaria attualità con l’approvazione alla Camera dei Deputati della legge sulla partecipazione.

Del resto già Papa Giovanni Paolo II nella sua enciclica “Centesimus annus” aveva messo in evidenza che, per la prima volta, dopo oltre un secolo, si era registrata la saldatura tra mondo del lavoro e Vangelo che era stata determinante, sopratutto in Polonia, per la disgregazione del sistema comunista.

Ora questa saldatura si ripropone e si realizza partendo proprio dal mondo del lavoro con la legge sulla partecipazione.

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