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Niente come i contractor militari privati funge da elemento pivot per le dinamiche di gioco russe nel Grande Medio Oriente. È questo il contenuto sintetizzato all’estremo di uno studio preparato dalla New America (Foundation), think tank di Washington dall’impronta centrista (Eric Schmidt di Google è il suo presidente operativo). L’analisi riguarda una serie di penetrazioni politico-militari russe all’interno dei paesi di quella regione del mondo che la dottrina americana definisce Mena, Middle East and North Africa, e la sua periferia.

Attività operate da aziende private collegate al Cremlino. La più nota è la Wagner, guidata da Yevgeny Prighozin, personaggio da film intimo di Vladimir Putin. La Pmsc (acronimo di private military security contractors) di quello che viene chiamato “lo chef di Putin” è recentemente tornata protagonista delle cronache perché secondo un articolo del New York Times ha inviato almeno 200 uomini a dirigere dal campo l’aggressione contro Tripoli del signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar.

Le informazioni su questa presenza russa in Libia in realtà aggiungono non più di qualche dettaglio temporale (c’è stato un aumento del personale a settembre, per esempio). Questo perché chiunque segua con attenzione la situazione sa bene che la Wagner in Libia c’è da diverso tempo: il suo schieramento è stato deciso formalmente – o forse è meglio dire implementato – in un riunione a porte chiuse del novembre 2018 al Cremlino, quando Haftar è stato in visita a Mosca ed era presente lo stesso Prighozin.

Haftar a Mosca, sullo sfondo in abito civile Prighozin

Val la pena di continuare a seguire il caso libico come paradigma, inoltre è un interesse italiano – dato che quei mercenari russi si trovano sul lato dello schieramento che combatte le milizie di Misurata che difendono Tripoli, mentre all’aeroporto di Misurata c’è un contingente italiano composto da circa trecento unità che si occupa di gestire (e mantenere sicuro) un ospedale da campo posto a poche centinaia di metri da alcuni punti di combattimento. Per il momento lo scalo è colpito solo da attacchi aerei, ma Haftar considera la città-stato a est di Tripoli il nemico principale e se – un grande se, ma ora c’è anche l’aiuto rinforzato dei mercenari russi – dovesse avere successo nella sua avanzata sulla capitale, il prossimo obiettivo saranno i misuratini.

La presenza della Wagner in Libia va in controtendenza con un quadro che si sta delineando chiaramente alle spalle di Haftar. L’autoproclamato Feldmaresciallo della Cirenaica per ora non riesce a spingere la sua offensiva, e i suoi principali sponsor lo stanno mollando, almeno militarmente. La Francia sta riavviando il dialogo con Tripoli dopo anni di ambiguità, l’Egitto è interessato a far consolidare al suo Sisi libico i guadagni territoriali sul piano politico, gli Emirati Arabi sono presenti per intelligence e supporto aereo, ma intendono anche loro negoziare politicamente. Tutti e tre sembrano indirizzati verso una sorta di stabilizzazione dell’attuale status quo.

Invece la Russia ha rafforzato i boots on the ground discreti e non ufficiali con i nuovi invii di settembre. Per ora, i risultati non sono stati poi così brillanti, se si considera che da quel momento il fronte nell’hinterland tripolino non si è mosso granché. Forse però hanno aiutato a tenere in piedi la fascia di Tahrouna, uno dei centri dell’offensiva che, se fosse caduta come Gharyan più a sud, avrebbe certificato la sconfitta haftariana.

La ricerca del New America ci aiuta a comprendere il perimetro di certi impegni clandestini russi e i ruoli di queste società. Aziende che hanno sedi legali in paradisi fiscali, che lavorano con contratti strutturati per saltare tra le trame della legge, create dalla privatizzazione post-sovietica del complesso militare-industriale della Russia e dal riconsolidamento dello stato di sicurezza sotto Putin.

A cosa servono? Il ruolo è profondo, tant’è che secondo alcune ricostruzioni delle nebulose relazioni che avvolgono queste società, i mercenari della Wagner sono stati descritti come un gruppo operativo al servizio del Gru, l’intelligence militare russa. Questi contractor aiutano l’individuazione dei bersagli nelle zone di combattimenti, addestrano, preparo, alcune delle forze armate sul campo, più o meno ufficiali. Compiono anche operazioni segrete, ma più che altro servono alla Russia per mantenere delle relazioni non pubbliche con attori poco potabili.

In Libia, sempre per continuare con l’esempio, Mosca è in contatto con il governo onusiano tripolino, e non può sottrarsi dall’ufficialità di questo allineamento dato che la Russia è una dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu che ha avallato la costruzione di quel governo. Ma Putin ha anche interessi su Haftar. Lo vede come un attore ben più maneggiabile, e inoltre dietro a lui c’è un posizionamento di valori composto da egiziani ed emiratini – e francesi: la Francia di Emmanuel Macron è il paese europeo che in questo momento è più vicino a Mosca. È anche un allineamento sul lato opposto di quello ufficialmente sostenuto dall’asse occidentale Usa-Ue.

Gli uomini delle Pmsc russe, non solo la Wagner ma anche altre società minori, diventano allora moltiplicatori di forza, attori di prima linea di un piano ampio di cui alla fine il Cremlino potrà vedersi tornare indietro i benefici strategici senza coinvolgimento ufficiale. Ed è un argomento utile anche per la stabilità interna, visto che Putin non gode più dell’assoluta benevolenza dei sui cittadini, che soffrono la pesantezza economica e non amano certo veder tornare in patria i proprio figli dentro una bara per soddisfare ambizioni da prima potenza.

Le società private hanno la forza della plausible deniability, ossia la negazione plausibile da mettere sopra al coinvolgimento militare del Cremlino su certi fronti. Sebbene sia un fattore messo sempre più in crisi dai fatti che escono non solo dalla Libia, ma anche dalla Siria o dall’Ucraina e da altri Paesi dell’Africa. Per Mosca, i contractor sono “volontari e patrioti”, li definisce così quando vengono trovati i loro corpi con addosso i documenti caduti in battaglia. L’avventurismo putiniano sbatte contro le condizioni di vita al limite dei russi; le società di contractor evitano l’esposizione diretta al presidente, che può propagandare eventuali successi senza doverne mostre i costi e non soffrire gli insuccessi. È la narrazione che conta: la politica estera come vettore patriottico, la forza per giustificare la presa sul potere.

In Siria, per esempio: il Cremlino rivendica un numero di perdite minimo a fronte della ricostruzione del regime e del guadagno d’influenza nel cuore del Medio Oriente. Ma inchieste giornalistiche hanno dimostrato che dozzine di cittadini russi, dipendenti armati della Wagner, sono morti durante la guerra civile. Le autorità russe non solo hanno usato lo scudo del non coinvolgimento per evitare di ammettere le perdite – descrivendo quei concittadini come valorosi volontari andati a combattere i terroristi – ma hanno anche fatto in modo che, una volta tornate in Russia le salme, non se ne parlasse. Hanno pagato (e minacciato) il silenzio dei famigliari.

Lo studio del New America scrive: “I principi della multipolarità e della proiezione di potere della Dottrina Primakov sul fianco meridionale della Russia rimangono un quadro chiave per la grande strategia russa. La guerra per procura è un mezzo per questi scopi”. Ora, nell’epoca putiniana, le società militari private si muovono con una filosofia del tutto simile con cui venivano influenzati i delegati, i partner e gli alleati nell’era sovietica.

Così Putin porta la guerra (privata) in giro per il mondo

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