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La sentenza del Tribunale dei ministri di Roma che ha archiviato la posizione dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini e del capo di gabinetto del Viminale, prefetto Matteo Piantedosi, potrebbe essere presa in considerazione quando l’Unione europea volesse davvero mettere mano al Regolamento di Dublino e altri organismi internazionali rivedere certe norme. Tempi lunghi, comunque.

La secca notizia giornalistica, riportata dal Corriere della Sera e dal Fatto Quotidiano, è che una nave di una Ong che ha salvato migranti in mare dovrebbe sbarcare i naufraghi nello Stato di cui batte bandiera, sostenendo che il Paese di primo approdo dovrebbe essere quello della nave stessa. Salvini e Piantedosi erano accusati di abuso d’ufficio perché nei confronti della tedesca Alan Kurdi era stata firmata una direttiva che vietava l’ingresso nelle acque territoriali italiane, in base al decreto sicurezza bis, e la nave si era poi diretta a Malta. Nessuna volontà di creare un danno all’equipaggio e a chi era stato salvato, bensì solo l’applicazione di una norma in vigore, dunque nessun abuso.

Detto che il concetto espresso dal Tribunale dei ministri dovrebbe applicarsi a qualunque tipo di nave che soccorra chi rischia di affogare, per esempio un mercantile battente qualunque bandiera che non sia quella italiana, limitarsi a diffondere il messaggio che ognuno li sbarchi a casa propria è un po’ superficiale e conferma che, purtroppo, il caos normativo e politico regna sovrano. Politicamente, la soddisfazione di Salvini è legittima, ma sono gli stessi giudici ad aggiungere che a complicare le cose è la necessità di portare i naufraghi al più presto al sicuro e dunque di raggiungere il porto più vicino. Per esempio, molto dipende da quale centro di coordinamento ha assunto il comando delle operazioni Sar di ricerca e soccorso: se è l’Mrcc di Roma il Pos (Place of safety) in Italia resta il più probabile.

Anche se, secondo i giudici, dovrebbe essere lo Stato di appartenenza della nave a coordinare le operazioni, sarebbe complicato trasportare persone in difficoltà a giorni di navigazione di distanza considerando che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che una nave priva delle attrezzature necessarie a far presentare la richiesta di asilo non può essere considerata un’estensione territoriale dello Stato di appartenenza. Dunque, il Tribunale fa riferimento alla cosa più ovvia, cioè alla necessità di una concreta collaborazione fra Stati. Tornando così al punto di partenza: solo una modifica del Regolamento di Dublino nel rispetto delle convenzioni internazionali può risolvere un problema che tutti riconoscono e che poi lasciano all’Italia.

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha ripetuto che “ciascuno Stato membro dovrà dimostrare solidarietà e contribuire ad affrontare il tema migrazione in toto” aggiungendo che chi non ha diritto dev’essere rimpatriato. Secondo la presidente eletta, l’Ue deve “consolidare le frontiere esterne per tornare a un sistema Schengen perfettamente funzionante e investire in partenariati con i paesi di origine». Secondo Salvini “la nuova Commissione parte sotto i peggiori auspici perché sull’immigrazione non cambia nulla”. Forse è presto per dirlo, ma è tardi per l’Europa: la solidarietà sull’immigrazione e gli accordi con i Paesi di provenienza saranno una delle scommesse più difficili.

Il Tribunale archivia Salvini ma sui migranti rimanda la palla in Europa

La sentenza del Tribunale dei ministri di Roma che ha archiviato la posizione dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini e del capo di gabinetto del Viminale, prefetto Matteo Piantedosi, potrebbe essere presa in considerazione quando l’Unione europea volesse davvero mettere mano al Regolamento di Dublino e altri organismi internazionali rivedere certe norme. Tempi lunghi, comunque. La secca notizia giornalistica, riportata dal…

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