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L’ecologia, la sostenibilità, possono essere le chiavi di volta per la nascita del prossimo governo, una specie di humus per una nuova maggioranza. Per alcune ragioni precise. Tanto per cominciare, nel suo intervento al Senato, lo scorso 20 agosto, l’allora premier Giuseppe Conte ha dedicato un passaggio decisivo alle tematiche ambientali (qui l’intervista al leader dell’ala ambientalista del Pd, Ermete Realacci).

Non certo nella prima parte del discorso, duro atto d’accusa verso l’ex alleato Matteo Salvini. Ma nella seconda, decisamente più programmatica e protesa alla prossima maggioranza, magari frutto di un’alleanza tra Pd e 5 Stelle. Secondo aspetto, l’ambiente e tutte le sue forme, rappresentano uno dei punti di contatto tra il partito fondato da Walter Veltroni e quello nato per opera di Beppe Grillo. Anche ieri, nel corso delle consultazioni al Colle, il segretario dem Nicola Zingaretti ha menzionato la sostenibilità tra le condizioni per stringere un’intesa con i grillini.

Non è tutto. Ci sono altri due elementi che danno la cifra dell’importanza del tema ambiente nella formazione di una nuova, possibile, maggioranza grillino-dem. E cioè che questa mattina Avvenire ha pubblicato un intervento dal sapore di programma a firma Lorenzo Fioramonti e Rossella Muroni, rispettivamente economista, viceministro uscente per l’Istruzione, deputato del Movimento 5 Stelle e sociologa, già presidente di Legambiente e deputata di Liberi e Uguali. Due personalità che fino a poco fa combattevano su fronti opposti. Ma oggi forse non più, visto che la convergenza sulle tematiche ambientali che trasuda dall’intervento, è evidente. E non è certo un caso, ultima riflessione, che il ragionamento sulle sfide ambientali del prossimo governo sia stato pubblicato sul quotidiano della Cei, tra le testate più ostili alla Lega e al suo leader Salvini. C’è dunque, con ogni probabilità, un filo rosso che unisce diverse forze politiche un tempo nemiche: l’ambiente.

“L’incertezza politica di questi giorni”, scrivono su Avvenire Fioramonti e Muroni, “può trasformarsi in una grande opportunità. Per la prima volta in decenni, la politica si trova nelle condizioni di lanciare un’agenda governativa profondamente innovativa ed ecologista, come sottolineato anche da Giuseppe Conte nel suo discorso al Senato. Possiamo fare dell’Italia un riferimento per il resto d’Europa e del mondo, nell’anno in cui papa Francesco lancia il summit sulla nuova economia e la comunità internazionale cerca nuovi modelli di sviluppo con l’Agenda 2030″.

Secondo i due esponenti politici è necessario “uscire dal provincialismo del dibattito politico italiano per guardare in faccia la realtà, nella sua estrema gravità. Siamo di fronte a una crisi sistemica determinata dal convergere di tre fattori: distruzione ambientale, disuguaglianze sociali e instabilità economica. L’Italia è sempre più colpita dagli effetti dei cambiamenti climatici: il mese di luglio appena passato è stato il più caldo di sempre. Nubifragi, siccità, ondate di calore forti e prolungate, fenomeni meteorologici sempre più intensi ed estremi stanno causando danni ai territori, alle città e alla salute dei cittadini”.

D’altronde, i cambiamenti climatici sono alla base di importanti fenomeni globali. Per esempio, “le migrazioni, che incidono direttamente sul nostro Paese, sono causate e aggravate dai cambiamenti climatici. Secondo Coldiretti, gli sbalzi termici anomali degli ultimi dieci anni sono costati 14 miliardi di euro solo per l’agricoltura. Gli studenti ci hanno giustamente chiesto di svegliarci, al grido di: ‘Ci avete rotto i polmoni!'”.

Di qui alcune considerazioni. Primo, “la sostenibilità ambientale, ancora oggi percepita erroneamente come vincolo, rappresenta al contrario una straordinaria opportunità di sviluppo, innovazione e competitività per il tessuto industriale e produttivo del nostro Paese. Un euro investito nella green economy produce molti più posti di lavoro dei tanti euro con cui continuiamo a foraggiare le industrie inquinanti. E genera anche tanti effetti positivi in società, mentre chi inquina ci costa anche in termini di salute e distruzione del territorio, con le relative perdite in produzione agricola e turismo”.

Secondo, “le imprese verdi sono state quelle che, nel mondo, hanno trainato lo sviluppo dell’ultimo decennio, dalla Germania fino alla Cina. I Paesi che più hanno investito nella riconversione industriale sono anche quelli che hanno ridotto le disuguaglianze e ridato dignità al lavoro: un operaio che produce un pannello solare svolge un ruolo molto più edificante per sé, per la sua famiglia e per la sua comunità, rispetto a un collega che lavora in miniera o su una piattaforma petrolifera. Cresce nel mondo la proposta di un green new deal per sostenere la transizione verso una nuova economia, che sia allo stesso tempo più sostenibile, più giusta e più stabile”.

Un lavoro che chiama direttamente in causa le amministrazioni e dunque la politica e dunque, infine, il governo che verrà, qualunque esso sia. “Servono nuovi investimenti che puntino all’efficienza energetica, alla mobilità intelligente e all’economia circolare, e realizzino un grande piano di transizione delle industrie inquinanti, con risorse ad hoc per proteggere e convertire posti di lavoro. Infine un sistema fiscale in senso green, tassando e sanzionando le attività inquinanti, rimodulando l’Iva in modo da incentivare i consumi sostenibili”.

Tutto questo, secondo Fioramonti e Muroni, si può tradurre in vantaggi reali e concreti. “Facendo di questi obiettivi il cuore di un programma economico, il nuovo governo potrebbe innescare un circolo virtuoso di circa 190 miliardi di nuovi investimenti, con oltre 68 miliardi di aumento della produzione e 240 miliardi di valore aggiunto, creando oltre 800 mila nuovi posti di lavoro“.

Non è poco, ma c’è una condizione dalla quale non si può prescindere. E cioè l’esistenza di “un governo di personalità politiche che abbiano nel proprio Dna la fusione tra economia ed ecologia, un binomio tradizionalmente contrapposto dalla visione retrograda che da sempre domina il dibattito nazionale. Un governo che, come ha fatto la stessa Von der Leyen, ascolti i gruppi parlamentari e le principali rappresentanze della società civile prima di stilare il suo programma di azione. Un governo non di accordi tra segreterie, ma che nasca dalla voglia di riscatto ormai trasversale alle forze politiche. Perché è finita l’era disastrosa dell’uomo solo al comando e di chi ha capito tutto”.

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