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L’ultima volta che l’Iran è stato menzionato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio era il 6 dicembre scorso al “MED Dialogues” di Roma. Diffuse e forti erano, già da tempo, le proteste indignate dell’Europa e di molti governi occidentali per la sanguinosa repressione da parte di polizia e paramilitari del regime istruiti a uccidere indiscriminatamente i manifestanti in decine di città iraniane.

Anche quel giorno, invece, il capo della diplomazia italiana non mostrava un grande interesse a condannare – come altri suoi colleghi occidentali stavano da diversi giorni facendo – i massacri in atto da settimane in Iran, preoccupandosi soltanto del “graduale disimpegno iraniano dall’intesa sul nucleare, che resta per noi uno strumento importante in chiave di non proliferazione”.

Assai diverso, invece, l’atteggiamento dell’Alto commissario Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, del primo ministro britannico Boris Johnson, del segretario di Stato Mike Pompeo, del ministro francese per gli Affari Europei Amélie de Montchalin, così come di molti altri ministri e portavoce delle istituzioni e dei governi europei.

L’atteggiamento pilatesco del governo italiano sulla grande tragedia che tocca l’amico popolo iraniano, sottoposto da quattro decenni a violenze e repressioni inaudite da parte del regime teocratico, sconcerta ancor più ove si consideri l’impegno espresso dai parlamenti, dalle personalità della politica, della cultura, dalle realtà associative e dalle società civili nel mondo delle democrazie liberali.

Anticipando la riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 19 dicembre scorso, il Comitato “In Search of Justice – ISJ”, Ong di cui fanno parte migliaia di personalità politiche, intellettuali, e di difensori dei diritti umani che da oltre dieci anni si battono per la giustizia e la libertà da restituire al popolo iraniano, ha invitato il Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres e tutte le delegazioni del Consiglio a discutere seriamente della gravissima repressione in atto. Essa costituisce un evidente pericolo per la sicurezza internazionale.

Il CdS, ha sottolineato ISJ, deve certo occuparsi degli attacchi iraniani alle infrastrutture petrolifere saudite, alle petroliere nello Stretto di Hormuz, del drone Usa abbattuto, delle violazioni di Teheran agli impegni sulla non proliferazione nucleare e missilistica, delle attività iraniane di sostegno al terrorismo, e della destabilizzazione causata dall’Iran con le crisi che esporta in tutto il Medio Oriente e non solo. Ma il CdS deve anche dar seguito agli impegni presi quando ha ancora recentemente dichiarato: “Qualora le tensioni crescessero ulteriormente, il Consiglio farà un richiamo più formale …”. ISJ ha lamentato come sinora ciò non sia avvenuto.

Anche in questo caso, come ormai da anni accade per i numerosi crimini contro l’umanità perpetrati dal regime iraniano, il CdS è paralizzato dal veto della Russia ogni volta che Paesi come Francia, Gran Bretagna, o Stati Uniti propongono di reagire ai massacri compiuti, di impedirli e perseguirne i responsabili.

Il regime iraniano è autore o mandante di molti di questi crimini. Essi sono rivolti non solo contro il proprio popolo. Riguardano la Siria – dove la Russia bombarda le popolazioni civili opposte ad Assad e all’Iran sciita – l’Iraq, il Libano, lo Yemen, con l’utilizzo di milizie settarie e “proxies”. Era così inevitabile che il Consiglio, a causa della Russia e dei suoi alleati alle Nazioni Unite, anche questa volta non prendesse decisioni definitive. Ma l’iniziativa di ISJ è servita ad accrescere la pressione politica e un sostegno sempre più vasto alla popolazione iraniana che chiede la libertà e il rispetto dei propri diritti: al Palazzo di Vetro come a livello globale.

In occasione del dibattito in Consiglio di Sicurezza sul programma nucleare iraniano, l’Ambasciatore americano è tornato ancora una volta – così come altri suoi colleghi occidentali – sulla “grave preoccupazione degli Stati Uniti per la brutale risposta in tutto l’Iran alle recenti proteste, e sulla solidarietà del suo Paese con il popolo Iraniano… Benché manchi ancora un quadro esatto della repressione, degli abusi, e delle violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime, siamo profondamente turbati da quanto sappiamo, dai video di decine di manifestanti massacrati a Mashahar dai Pasdaran (IRGC), ed è probabile che la repressione sia ancor peggiore delle notizie che abbiamo”.

Il governo iraniano ha fatto di tutto per impedire la diffusione di notizie su eccidi e arresti in massa. Ha bloccato completamente internet per diversi giorni nell’intento di aver le mani ancor più libere. Ma i movimenti di rivolta e resistenza sono ormai così radicati che centinaia di nomi delle vittime sono stati raccolti dalle organizzazioni della Resistenza Iraniana, con indicazione delle loro precise generalità e circostanze delle uccisioni, e inviati fuori dall’Iran.

La reazione in Europa e nel mondo è stata netta estesa. Duecento parlamentari di 10 Paesi europei, tra i quali 50 parlamentari italiani, hanno firmato una dichiarazione in cui esprimono sostegno ai milioni di iraniani in rivolta in 191 città di tutto l’Iran per il rispetto delle loro libertà democratiche e dei diritti umani. In due diverse conferenze stampa alla Camera dei Deputati esponenti parlamentari delle principali forze politiche, eccettuato il M5S, hanno espresso il sostegno dei rispettivi Partiti a tali rivendicazioni. Resta sorprendente che il governo Conte abbia ritenuto di non dare finora alcun peso a questi appelli.

Nella loro dichiarazione i duecento parlamentari hanno stigmatizzato la sistematica repressione e menzionato i “terribili filmati video con le forze di sicurezza che sparano con  dai tetti o da distanza ravvicinata a manifestanti disarmati. In molti casi, sono stati usati elicotteri e carri armati”. Secondo gli ultimi rapporti dell’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (OMPI) – nota anche come Mujahedin-e-Khalq (MEK), la principale opposizione iraniana – oltre 1.500 manifestanti sono stati uccisi, più di 4.000 feriti e almeno 12.000 arrestati.

È molto preoccupante il fatto che alti esponenti governativi abbiano subito chiesto l’esecuzione dei manifestanti arrestati. Il presidente Hassan Rouhani, che alcuni ritengono essere un “riformista”, è stato tra i principali fautori delle indiscriminate violenze. Ha insistito per reprimere con la massima durezza qualsiasi manifestazione. Un suo consigliere ha persino minacciato di morte i membri del MEK che il regime ritiene essere la principale causa della rivolta.

Ripetendo le accuse che avevano provocato una Fatwa dell’Ayatollah Khomeini e il massacro del 1988, con l’assassinio in pochi giorni di 30.000 prigionieri politici. Il silenzio della comunità internazionale sui fatti del 1988 è ancor più grave oggi: alcuni membri della “commissione della morte” responsabili di aver deciso tutte quelle esecuzioni sommarie rivestono importanti incarichi governativi con Rouhani. L’impunità ostentata di un apparato di potere genocidario è di evidente incoraggiamento per il regime nel continuare a soffocare nel sangue ogni forma di dissenso.

La dichiarazione dei duecento parlamentari invita le Nazioni Unite, l’Unione europea e gli Stati membri a condannare i crimini del regime iraniano, ad adottare misure urgenti perché si ponga fine ai massacri, siano rilasciati i prigionieri politici e tutti i manifestanti arrestati, e sia riattivato Internet. Pure condiviso è stato l’appello della signora Maryam Rajavi, presidente del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI) alle Nazioni Unite per l’immediato invio di una missione d’inchiesta che visiti anche i manifestanti detenuti in Iran. Al Consiglio di Sicurezza si chiede infine di indagare i crimini contro l’umanità commessi dal regime Iran, portandone i dirigenti dinanzi alle Corti internazionali.

La società internazionale si sta muovendo in molti e diversi ambiti, oltre a quelli che ho ricordato. Importanti sono state negli ultimi giorni le forti prese di posizione di decine di Premi Nobel in un documento congiunto, le iniziative al Parlamento britannico e in particolare alla Camera dei Lords, la creazione di due nuovi comitati per contribuire ulteriormente all’attività di “In Search of Justice”. Ottanta milioni di Iraniani chiedono libertà, giustizia, rispetto. Si aspettano che l’Italia li aiuti. Non possiamo guardare dall’altra parte senza tradire la nostra identità , i Trattati europei, la nostra stessa Costituzione.

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