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Ai primi di settembre il presidente cinese Xi Jinping, ha annunciato un nuovo piano da 50 miliardi per l’Africa. Soldi con cui finanziare ferrovie, strade, porti, ma altamente tossici, come raccontato innumerevoli volte da Formiche.net. Alla prima insolvenza, al primo cenno di rallentamento dei rimborsi, scatta la trappola e le banche del Dragone entrano nel capitale delle società, prendendosi un pezzo di industria dopo l’altro e lasciando ai governi africani le briciole. La domanda a questo punto è: come può l’Occidente rispondere a questo saccheggio mascherato da investimenti?

Un’idea se la è fatta Henry Tugendhat, economista del team sulla Cina presso l’Us Institute of Peace e ricercatore associato presso la China Africa Research Initiative presso la School of Advanced International Studies, della Johns Hopkins University. La questione è semplice, rispondere con altri finanziamenti, altri prestiti, vorrebbe dire ingaggiare con Pechino un corpo a corpo che non porterebbe da nessuna parte. E allora, tanto vale cambiare tattica. “Come un cervo abbagliato dai fari, gli Stati Uniti hanno trascorso gli ultimi anni rispondendo ai vasti programmi di prestito della Cina in Africa e altrove, creandone di propri, per lo più erogando finanziamenti tramite istituzioni come l’International Development Finance e l’Export-Import Bank”, è la premessa.

“Ma cercare di superare la Cina, diventando più simili ad essa, è un gioco che non porta a nulla. E questo perché le banche cinesi possono facilmente superare in prestiti le controparti statunitensi perché sono meglio strutturate verso questo obiettivo. E forse ancora più importante, hanno bisogno di prestare denaro a chiunque voglia acquistare beni e servizi cinesi perché la crescita economica della Cina è ora dipendente dal mantenimento di una bilancia commerciale positiva”.

Di qui, un piano B. “Il modo migliore per offrire una vera alternativa economica alla Cina è che gli Stati Uniti giochino sui propri punti di forza. Ad esempio, se gli Stati Uniti sono seri nel rafforzare le relazioni economiche Usa-Africa, dovrebbero concentrarsi sulle esigenze economiche africane e sui driver economici interni degli stessi Stati Uniti, invece di correre dietro ai prestiti. Potrebbero, per esempio, più facilmente espandere accordi commerciali popolari come l’African Growth and Opportunity Act (Agoa) o il Generalized System of Preferences (Gsp) a vantaggio sia degli esportatori africani che delle famiglie americane”.

Anche perché guai a pensare che la valanga di prestiti cinesi sia un sintomo di forza bruta. Tutt’altro, semmai è un segnale di debolezza, chiarisce l’economista. “Prima che i legislatori statunitensi possano sostenere queste forme di impegno più positive e in grado di contrastare per davvero l’avanzata della Cina in Africa, dovrebbero riconoscere che la dipendenza della Cina dal credito non è in realtà un riflesso di forza, ma piuttosto il sintomo di un grave problema economico”.

E questo perché “la realtà è che la Cina ha oggi livelli molto bassi di domanda dei consumatori, i suoi investimenti nazionali sono saturi di debiti e gli investimenti in calo e le sue prospettive di crescita economica sono diventate fortemente dipendenti dal mantenimento di una bilancia commerciale positiva. Di conseguenza, le agenzie di credito all’esportazione della Cina sono sottoposte a un’enorme pressione per alimentare la domanda a livello internazionale, concedendo prestiti a chiunque voglia acquistare le esportazioni cinesi. Questa vulnerabilità è aggravata dalle tariffe commerciali imposte sulle esportazioni cinesi da diversi Paesi ad alto reddito. Per molti versi, la Cina è più dipendente dai mercati a cui presta di quanto questi mercati non lo siano dalla Cina stessa”.

Tutto ciò giustifica un cambio di strategia per l’Africa da parte americana. “L’Agoa si rinnoverà nel 2025. Questa è la migliore opportunità che gli Stati Uniti hanno per riprogettare e costruire una piattaforma davvero significativa per l’impegno economico con i paesi in Africa, America Latina. Ciò significherebbe che quando Pechino dirà ancora una volta ai leader africani ‘vi presteremo denaro per acquistare i nostri beni e servizi, Washington potrà rispondere a quegli stessi leader: elimineremo i dazi doganali così potrete venderci i vostri beni e servizi'”.

Ecco come gli Usa possono fermare l'avanzata cinese in Africa

Un errore ingaggiare un corpo a corpo con Pechino sul terreno dei prestiti ai governi africani, le banche del Dragone hanno una potenza di fuoco superiore. Tanto vale lavorare sugli accordi tra Stati Uniti e Africa già esistenti, che possono essere la vera deterrenza occidentale. Ecco cosa pensa Henry Tugendhat, della Johns Hopkins University

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