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Il ministro dell’Economia Giovanni Tria lo ripete spesso. O meglio i giornalisti si divertono a fargli dire la sua posizione storica, nel tentativo di rianimare il dibattito sui temi economici. Un aumento dell’Iva – questa la tesi di Tria – è “preferibile” a un incremento delle imposte sui redditi. Meglio quindi lasciare che l’imposta su beni e servizi aumenti e magari utilizzare le risorse liberate per ridurre il cuneo fiscale. Formula da accademico, premette sempre il ministro. Le scelte politiche arriveranno in seguito e con tutta probabilità, questa la versione ufficiale, l’iva non aumenterà.

In realtà nelle stanze del ministero dell’Economia da tempo l’ipotesi di un aumento dell’Iva fa parte delle possibilità in campo. A legislazione vigente gli aumenti previsti dalle clausole di salvaguardia – in vigore dal 2011 ma aggravate dal governo in carica per circa 10 miliardi all’anno – scatteranno. Tutte le forze politiche dicono di volere evitare l’aumento da 23,1 miliardi di euro. Le ipotesi prese in considerazione allo studio consistono in aumenti parziali. Magari proprio per la quota di competenza del ministro Tria, quindi poco meno della metà.

Le formule per realizzare gli aumenti sono varie. Una è il passaggio di alcune categorie di merci dall’aliquota agevolata al 10% a quella ordinaria oggi al 22%. Si potrebbe ad esempio finire per colpire spese che non conoscono crisi, come quella in ristoranti. Ancora più probabile l’aumento dell’Iva solo per alcune merci. Quindi, di fatto, la creazione di una quarta aliquota Iva al 25% solo per alcuni beni. Ad esempio quelli ad alto contenuto tecnologico.

Sicuramente una scelta impopolare, ma non irrazionale. Colpire questi consumi – questo il ragionamento che circola dalle parti del ministero dell’Economia – colpisce solo marginalmente attività economiche italiane, perlomeno quelle produttive. Un po’ come mettere un dazio su merci prodotte all’estero, insomma.

Il grande dibattito tra tecnici e politici (anche quelli ufficialmente contrari agli aumenti) riguarda l’impatto di un aumento Iva sul Pil. Le cifre ufficiali, quelle dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, calcolano una frenata dell’economia pari allo 0,3%. Nel 2020 con l’aumento dell’Iva l’incremento del Pil passerebbe dallo 0,7% allo 0,4%.

Ma queste simulazioni non tengono conto del fatto che un mancato aumento dell’Iva andrà comunque coperto. Il ministro dell’Economia dal Meeting di Rimini ha assicurato che si ricorrerà a tagli alla spesa. In cima alla lista delle spese da ridurre ci sono quelle fiscali, le tax expenditures. Peccato che sforbiciare agevolazioni fiscali, per quanto settoriali e/o ingiuste ha un effetto depressivo sull’economia uguale se non maggiore rispetto ad un aumento dell’Iva.

La base tecnica per fare scattare l’Iva, insomma, c’è tutta. Manca il via libera politico.

La grande tentazione. E se aumentasse l’Iva per fare flat tax e cuneo?

Di Ugo Laner

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