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Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sta cercando di gestire le critiche prodotte dalla dichiarazione con cui ha annunciato che i soldati americani si sarebbero fatti da parte nel nord siriano, lasciando spazio per una campagna della Turchia – che rientra in un piano in cui Recep Tayyp Erdogan vuole costruire una safe-zone attorno al confine con la Siria da utilizzare per essere ripopolata dai profughi siriani attualmente ospitati nel proprio paese. Siccome questo piano di ingegneria etnica potrebbe finire per essere contestato militarmente da chi quei territori li controlla al momento – i curdi siriani – la decisione di Trump è stata molto attaccata. Le milizie curde infatti sono la componente di maggioranza delle forze di terra che insieme a un paio di migliaia di specialisti americani hanno combattuto lo Stato islamico e ridotto l’organizzazione che aveva trasformato il terrorismo in uno stato al minimo delle forze, rifugiata in aree remote del Paese.

Trump è accusato di tradimento, di aver lasciato i curdi in mano ai piani settari di Erdogan – che finora non aveva agito proprio perché in quelle zone al nord della Siria erano presenti quei team americani che avevano anche questa funzione di deterrenza. Funzione che ieri sera il presidente statunitense ha provato a rinvigorire, annunciando che se la Turchia avesse agito contro i curdi sarebbero scattate delle repressioni economiche pesanti (“come ho già fatto!”, dice Trump, che tra l’altro si espone a una delle accuse più pesanti avanzate da Erdogan stesso nei tempi passati, quando mesi fa incolpava gli Stati Uniti e l’Occidente per il deprezzamento della Lira turca, frutto a suo dire di un complotto ai suoi danni).

Ieri Ankara è stata esclusa dal sistema di condivisione delle informazioni sui cieli siriani – che sono intasati perché occupati dai caccia che difendono il regime, quelli russi e siriani, e da quelli della coalizione internazionale che combatte lo Stato islamico. Tagliarla fuori dal sistema di comunicazione è un modo che dovrebbe renderla cieca e inoffensiva, in teoria, ma la Turchia ha forza militare e informazioni nella zona, e può agire appena oltre confine senza violare i cieli della Siria.

Oggi Trump dice che non mollerà i curdi, “in nessun modo li abbandoneremo”: ma i curdi, a dispetto dall’esclusione dal sistema radar, nella notte sono già finiti sono un primo raid aereo turco, in un’area di confine tra l’Iraq, la Siria e la Turchia. 

“Potremmo essere in procinto di lasciare la Siria, ma non abbiamo mai abbandonato i curdi, che sono persone speciali e combattenti meravigliosi”, dice adesso. Ed è da notare che l’operazione di ritiro è diventata più edulcorata, probabilmente dopo che un funzionario dal Pentagono ha fatto sapere ai media che in realtà usciranno dal paese – o saranno ridistribuiti – circa un centinaio di operatori delle forze speciali che fanno parte del meccanismo di sicurezza nell’area di confine che adesso sarà gestita più o meno esclusivamente dalla Turchia.

Trump ha anche ricordato come la Turchia sia un buon partner economico degli Stati Uniti, citando anche l’acquisto degli F-35, il programma sui caccia di ultima generazione della Lockheed Martin che è il vettore delle alleanze americane. Va ricordato che però il Congresso ha escluso recentemente la Turchia dal programma, perché s’era esposta alla Russia decidendo di comprare i sistemi anti-aerei S-400 (un contratto dal sapore politico: l’allineamento turco-russo nasce proprio dalla Siria, dagli anni in cui Erdogan era scontento che gli americani avevano scelto, non fidandosi di lui, i curdi come partner per combattere l’Is; gli anni in cui Ankara accusa Washington del golpe militare, di contatti con i terroristi, e Mosca trovava spazio per crearsi un nuovo alleato su cui allargare la propria sfera di influenza). Non si sa se c’è in procinto una riapertura sugli F-35 ai turchi.

Non abbandoneremo i curdi. La strategia di Trump sulla Siria

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