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L’Afghanistan, oggi al voto per le elezioni presidenziali, è stato scosso da una serie di attentati in tutto il Paese. Le operazioni di voto sono state scandite da esplosioni e bombe da nord a sud, ma nonostante il clima di terrore, in molti dei 5 mila seggi aperti si sono formate file. Gli elettori registrati sono 9,6 milioni e il dispiegamento di sicurezza comprende 72 mila uomini dopo le minacce dei talebani seguite alla rottura del negoziato di pace con gli Stati Uniti. Al momento si possono contare due morti e una ventina di feriti.
 
GLI ATTENTATI
 
Le vittime che hanno perso la vita sono due. Una di queste è stata colpita da una mina presso un seggio elettorale nella provincia orientale di Nangarhar, nel distretto di Sorkh Rod, l’esplosione ha provocato anche tre feriti. La seconda vittima, invece, è un osservatore alle operazioni di voto morto in seguito al lancio di un razzo nei pressi di un seggio a Kunduz, nel nord del Paese. Ma gli attentati, seppur non letali, si sono dispiegati per tutto il Paese. Ad un seggio elettorale a Kandahar 15 persone tra civili ed un agente di polizia sono rimaste ferite dopo l’esplosione di un ordigno nascosto all’interno di un amplificatore di una moschea utilizzata come seggio. Tre dei feriti sono gravissimi. Soltanto a Kandahar nella mattinata sono stati disinnescati o fatte brillare dalle forze di sicurezza almeno 31 ordigni esplosivi. Piccole esplosioni sono state segnalate anche nella capitale Kabul, ma non ci sono ancora notizie certe su possibili feriti.
 
LE ELEZIONI NEL TERRORE
 
Le elezioni si svolgono in presenza di massicce misure di sicurezza (Le forze di sicurezza hanno dispiegato 72 mila uomini ai circa 5.000 seggi elettorali aperti nel Paese), a causa delle minacce dei Taliban – che hanno rivendicato la maggior parte degli attacchi – circa un terzo dei seggi infatti rimane chiusa, proprio nei territori controllati dai talebani. Non solo: da mercoledì sera le autorità hanno anche vietato l’accesso alla capitale a tutti i camion e furgoni, per paura di autobombe. “Siamo felici che le persone stiano già formando grandi file di fronte ai sondaggi in attesa di mettere le loro schede elettorali”, ha detto Zabi Sadaat, portavoce della commissione elettorale.
 
UNO SGUARDO AL PASSATO
 
È la quarta volta che l’Afghanistan torna a votare dalla caduta del regime talebano. A sfidarsi nella battaglia per le presidenziali sono il capo di Stato uscente Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah, il chief executive nel traballante governo di unità Nato dalle ceneri del voto del 2014. Su 35 milioni di abitanti, sono 9,6 milioni gli elettori che si sono registrati, chiamati ad affrontare un voto su cui incombe, oltre alla paura degli attentati, le le attese accuse di frodi e irregolarità. Le elezioni erano state rinviate due volte quest’anno (si dovevano tenere ad aprile, poi a luglio, infine adesso), e si inseriscono in quadro cosi’ incerto che più d’uno aveva esortato a procrastinarle.
 
LA FORZA DEI TALEBANI
 
Il problema principale che deve affrontare il Paese in questo momento è che diverse zone sono sotto il controllo dei movimento fondamentalista islamico dei Talebani (mai così forte sul territorio da quando è stato detronizzato nel 2001): circa 2 mila seggi sono stati chiusi ad agosto, e almeno altri 400 questo mese; solo in 4 province su 34 i centri per votare dovrebbero restare tutti aperti. La disillusione è forte tra la popolazione, la corruzione, la disorganizzazione e l’insicurezza la fanno da padroni. A peggiorare la situazione, la nuova regola che richiede alle donne di scoprire il volto e farsi fotografare per poter partecipare. Una misura che di certo non faciliterà il voto femminile in un Paese dove ancora l’altra metà del cielo lotta quotidianamente, soprattutto nelle zone rurali, per i diritti più elementari.
 
I NEGOZIATI CON GLI USA
 
Sullo sfondo, ci sono i negoziati portati avanti dall’inviato speciale Usa, Zalmay Khalilzad, con i talebani, interrotti bruscamente dal presidente americano Donald Trump all’inizio di settembre quando ha annunciato a sorpresa la cancellazione all’ultimo minuto di un incontro segreto con i leader del gruppo fondamentalista afghano a Camp David. Ma la porta non è del tutto chiusa, per stessa ammissione del capo negoziatore talebano Sher Mohammad Abbas Stanikzai che, in un’intervista alla Bbc ha insistito che i negoziati restano “l’unica via per la pace in Afghanistan”. Per conoscere i primi risultati si dovrà attendere il 17 ottobre e per quelli definitivi fino al 7 novembre, almeno: più di un mese a disposizione dei candidati per dire la loro, suscitando ulteriori incertezza e confusione. Niente di nuovo per l’Afghanistan, impantanato da 18 anni in un conflitto con diversi attori protagonisti e migliaia di vittime delle violenze ogni anno: solo nell’ultimo mese, ha riferito il Washington Post, si è registrata una media di 74 morti al giorno, con una serie di attentati devastanti che ha insanguinato la campagna elettorale.
 

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