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Vladimir Putin non molla il regime venezuelano di Nicolas Maduro, e anzi conferma il supporto militare volto al contrasto di “tentativi di destabilizzazione dall’esterno”. Resta dunque la linea dura contro l’autoproclamato presidente Juan Guaidò, nonché la contrapposizione all’interpretazione del dossier offerta dagli Stati Uniti e dai maggiori Paesi europei, Italia a parte. D’altra parte, il nostro Paese persevera in una posizione attendista che rischia di metterci ancora in difficoltà con gli alleati tradizionali, posizione confermata ieri durante la visita a Roma del presidente russo. Il tutto assume tinte ancora più cupe con la presentazione, oggi, dello scioccante report sulle condizioni del Venezuela da parte dell’Alto commissario Onu Michelle Bachelet.

IL SUPPORTO MILITARE RUSSO

A ribadire il legame militare è stato il vice ministro degli Esteri di Mosca Serghiei Riabkov, intervenuto all’ambasciata venezuelana in Russia in occasione dell’evento per il 208esimo anniversario dell’indipendenza del Venezuela. La Russia, ha detto, “intende collaborare per rafforzare il potenziale delle Forze armate” del Paese sudamericano, “nell’ambito degli accordi esistenti”. L’obiettivo? “Confermare il sostegno ai nostri amici venezuelani e il nostro impegno a collaborare affinché i tentativi di destabilizzazione non vadano a buon fine”, ha aggiunto con riferimento alle sanzioni e alle misure economiche restrittive volute dagli Usa, ritenute “assolutamente inaccettabili”. Un tentativo di destabilizzazione che Riabkov attribuisce a due responsabili: potenze straniere e opposizione politica nel Paese. Inevitabili i ringraziamenti dell’ambasciatore venezuelano a Mosca Carlos Rafael Faria Tortosa, che da parte sua ha annunciato l’imminente visita di Riabkov in Venezuela.

UN RAPPORTO CONSOLIDATO

In ogni caso, ha chiarito il diplomatico russo, la nuova collaborazione verterà “specificatamente sugli equipaggiamenti già consegnati al governo di Caracas”. Difatti, il rapporto militare tra Russia e regime di Maduro è radicato nel tempo. Dallo scoppio della crisi a inizio anno, la presenza militare russa nel Paese è stata riportata in costante aumento. Solo la scorsa settimana, Reuters dava notizia dell’arrivo presso l’aeroporto Simón Bolívar, a circa 30 chilometri da Caracas, di un aereo militare russo, l’Ilyushin 62 con matricola RA-86496 e carico non identificato. Il sito Flightradar24 confermava, specificando che il velivolo era già arrivato in Venezuela, insieme ad altri, nel mese di marzo. Si trattava di una novità rilevante, considerando che il 4 giugno Donald Trump aveva cinguettato le notizie dell’avvio del ritiro dei soldati russi presenti nel Paese (circa un migliaio), ufficialmente lì con compiti di supporto e addestramento. Tra l’altro, ai militari sono da aggiungere i contractor arrivati dalla Russia in Venezuela già a febbraio, che ammonterebbero secondo i media a qualche centinaio.

TUTTE LE ARMI RUSSE DI MADURO

Prima della crisi presidenziale, a dicembre dello scorso anno, il ministro della Difesa Padrino López riceveva da Mosca due bombardieri T160, da sommare a caccia, elicotteri, carri armati, blindati, missili e armamenti vari (compresi sistemi missilistici di difesa aerea) che negli anni il regime bolivariano ha acquisito dal prezioso alleato. Esercitazioni congiunte e servizi di addestramento per il personale venezuelano hanno poi fatto il resto, legando ancora di più Mosca e Caracas in senso militare e strategico. A fine giugno un conferma su è arrivata da Marija Vorobiova, portavoce del Servizio federale russo per la cooperazione tecnico-militare: “Il Venezuela ha un numero sufficiente di armi moderne di fabbricazione russa”. Pertanto, ha aggiunto, “la principale direzione della cooperazione è quella di mantenere questo equipaggiamento in buone condizioni: a tal fine, in Venezuela sono stati creati centri per la manutenzione, la riparazione e la modernizzazione di prodotti militari di fabbricazione russa, nell’interesse di tutti i rami delle forze armate”.

IL REPORT SCIOCCANTE DI BACHELET

Non è un caso dunque che la linea russa sul Venezuela trovi conferma anche sui temi di supporto alle Forze armate. A stonare è che l’annuncio è giunto nello stesso giorno del tanto atteso report dell’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu, Michelle Bachelet, redatto in seguito alla visita in Venezuela dal 19 al 21 giugno (qui tutti i dettagli). Un rapporto duro, che certifica la “devastazione” economica e sociale prodotta dal degrado del regime di Nicolás Maduro. L’ex presidente del Cile ha persino chiesto la soppressione delle Forze Speciale della Polizia (Faes) per “il trattamento inumano” verso i detenuti, con “scariche elettriche, asfissia e violenze sessuali per ottenere confessioni”. Bachelet ha denunciato il numero “scandalosamente alto” delle “presunte uccisioni extragiudiziali condotte dalle forze di sicurezza” del regime di Maduro: “Nel 2018 il governo ha registrato 5.287 uccisioni, presumibilmente per resistenza all’autorità”.

LA POSIZIONE ITALIANA

Le notizie del rilancio dei rapporti militari tra Mosca e Caracas e il rapporto Bachelet arrivano nel momento meno appropriato per l’Italia, con gli occhi degli alleati già attenti sui nostri rapporti con Mosca. Ieri, nella visita di Putin a Roma, il governo ha ribadito la posizione di attendismo, linea che ha fatto del Paese uno dei pochi Stati della comunità internazionale a non riconoscere Guaidò presidente. D’altra parte, con Conte al suo fianco, Putin ha sbeffeggiato l’autoproclamato presidente venezuelano: “Si è dichiarato presidente davanti a Dio ma non sappiamo ancora la risposta del Signore”. Noi, ha spiegato Giuseppe Conte, “non abbiamo ritenuto che le elezioni presidenziali si fossero svolte in termini credibili e non abbiamo riconosciuto Maduro presidente, ma, allo stesso tempo, abbiamo avuto perplessità nel riconoscere Guaidò presidente dell’assemblea elettiva”.

Non dite al governo italiano che l’amico Putin rafforza Maduro (gli Usa non gradiscono)

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