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Il tempismo non è il suo forte. Vladimir Putin si presenta a Palazzo Chigi con due ore di ritardo. Al suo fianco c’è il padrone di casa Giuseppe Conte, con cui ha appena avuto un bilaterale e che gli farà compagnia anche a cena circondato dai due vice, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, a Villa Madama. È l’epilogo di una visita lampo (dieci ore) della maxi delegazione russa scortata da un corteo di trenta macchine in una Roma blindatissima, che vede in testa assieme al presidente il ministro degli Esteri Sergej Lavrov e il ministro dell’Industria Denis Manturov. Conte è il primo a prendere la parola. Alle sue spalle c’è la bandiera europea, oltre a quella italiana. E in quelle due vesti il premier parla di fronte all’omologo russo. Esprime “commossa vicinanza” per l’incendio del sottomarino russo in cui hanno perso la vita 14 marinai nel Mare di Barents. Conferma “l’eccellente stato delle relazioni bilaterali”, nonostante le sanzioni Ue per la violazione degli accordi di Minsk in vigore dal 2014. Sciorina buone parole per la Federazione Russa, sottolinea i legami culturali ed economici che nonostante tutto ne fanno un partner primario per l’Italia.

Il piatto forte però è la politica estera, che ha fatto da sfondo anche ai bilaterali di Putin con papa Francesco e Sergio Mattarella. Ucraina first. Sul regime di sanzioni Ue imposte alla Russia, come è noto, l’Italia si trova stretta fra due forni. “Siamo molto grati all’Italia”. La riconoscenza espressa da Putin a Palazzo Chigi per la posizione del governo gialloverde, che nel contratto ha scritto nero su bianco di volere una “revisione” del regime sanzionatorio, crea qualche imbarazzo a Bruxelles. Né Conte può davvero prendere le distanze dalle misure imposte dal Consiglio Europeo, visto che per ben tre volte ha votato a favore del rinnovo semestrale. A dettar la linea dev’essere il premier, sottolinea lui con un inciso iniziale, “salvo le posizioni di singoli ministri”, che sembra diretto al Viminale: “Riteniamo che le sanzioni non siano un fine e auspichiamo che il regime sia transitorio”, si smarca in conferenza stampa.

L’Italia, dice il premier, è “pienamente devota” a “creare le premesse e le circostanze per raggiungere questo obiettivo”. Aggiunge un tocco personale: “Ogni volta che ci avviciniamo alla scadenza delle sanzioni mi rattristo”. Tradotto: ci sono altri sei mesi per lavorarsi ai fianchi gli altri leader europei e creare un movimento d’opinione anti-sanzioni. Putin scrolla le spalle come suo solito. Gli chiedono se è deluso dal dietrofront, almeno nei toni, di Matteo Salvini sulla rimozione delle misure. A Washington il vicepremier aveva detto che ci sarebbe stato se la Russia avesse fatto “passi avanti” sulla crisi ucraina. “Ci siamo abituati al fatto che la Russia deve sempre far per prima i passi avanti – gli risponde a tono il presidente russo – non dipende tutto dalla Russia”. “Il mio amico Vladimir fa il modesto, la Russia può giocare un grande ruolo – lo rimbrotta col sorriso Conte. Che durante la conferenza stampa non fa nessun accenno ai 24 marinai ucraini tenuti in prigionia dopo l’incidente nello stretto di Kerch a novembre.

L’incognita sul futuro dei rapporti fra Russia e Ue passa anche dalla nuova leadership che l’Europarlamento sarà chiamato a confermare su proposta del Consiglio Europeo. Crea più di qualche mal di pancia al Cremlino la nomina di Ursula van der Leyen a presidente della Commissione Europea. La ministra della Difesa di Angela Merkel è considerata un falco nei confronti di Mosca. “Non sappiamo cosa succederà – glissa Putin – Lei in quanto presidente  avrà un ruolo molto importante per il ristabilimento dei rapporti”.

La Russia, spiega Conte, è un attore fondamentale per la soluzione delle crisi regionali. Ecco che allora, oltre a quella ucraina, nel faccia a faccia di Palazzo Chigi si è discusso delle altre crisi che chiamano in causa, direttamente e non, il governo italiano. Si parte dalla Libia, che è stata oggetto di confronto tanto in Vaticano quanto al Quirinale. Putin punta il dito contro l’intervento Nato del 2011 sulle forze del colonnello Gheddafi, “ha distrutto la statalità libica”. Conte sostanzialmente sposa la stessa versione, “l’iniziativa militare non poteva portare al risultato auspicato”. Il presidente russo nega di sostenere solo il feldmaersciallo Khalifa Haftar, “abbiamo buoni rapporti con entrambe le parti”, e traccia una scarna road map: “Bisogna al più presto stabilire il cessate il fuoco, riavviare il dialogo e ristabilire la statalità libica”. Il dossier potrebbe finire sul tavolo del Consiglio Nato-Russia previsto domani a Bruxelles.

Sul Venezuela Putin e Conte recitano un copione già sentito. Il primo si spinge a sbeffeggiare l’“autoproclamato” presidente Juan Guaidò, “si è dichiarato presidente davanti a Dio ma non sappiamo ancora la risposta del Signore”. Conte difende la linea attendista del governo, che ne ha fatto uno dei pochi Paesi della comunità internazionale a non riconoscere Guaidò presidente. Poi i due leader fissano i paletti per una via d’uscita. Putin lancia un monito a Washington, “un intervento dall’esterno rende più grave la situazione, deve essere assolutamente escluso”. Il premier italiano auspica invece al più presto “elezioni democratiche e trasparenti”.

Ecco lo show di Putin a Palazzo Chigi. Senza contraddittorio, of course

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