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Nelle prossime ore la più stravagante ed improbabile crisi di governo della storia della Repubblica entrerà nel vivo e vedremo quale soluzione si troverà. Siccome però c’è sul tappeto l’ipotesi di un governo Pd-5S (chapeau a Renzi per il tempismo, alla faccia di tutti i suoi critici) vorrei guardarci un po’ dentro a questo ipotetico accordo, per vedere cosa c’è nel sacco (soprattutto dopo le parole di esplicito favore pronunciate da Romano Prodi).

Ebbene se ci guardi dentro vedi che questo accordo è proprio brutto, certamente inconcludente e molto probabilmente dannoso. È brutto perché non rispecchia la volontà degli italiani, che il 26 maggio (elezioni europee) hanno assegnato alle due forze dell’ipotetica nuova maggioranza il 39% dei voti (arriviamo al 41 se ci mettiamo anche la sinistra-sinistra), cioè una quota nettamente minoritaria di consenso.

Detto ciò, dopo il fallimentare esperimento gialloverde il Parlamento ha tutto il diritto di provare a formare un nuovo governo, ma questo non deve avvenire in opposizione alla volontà popolare, altrimenti l’effetto è pessimo. Anche perché opporre a questo ragionamento il fatto che i gruppi parlamentari sono basati sul risultato del 2018 è sensato ma soltanto in veste puramente formale, il che in politica non conduce lontano.

L’accordo è anche inconcludente perché le distanze programmatiche tra Pd e 5S sono profonde e non certo colmabili in pochi giorni di trattativa. Qui ha ragione Prodi, servirebbero due congressi (entità però sostanzialmente scomparse dalla scena) per definire linee politiche rinnovate (con annesso ricambio della leadership, in particolare in casa grillina) per rendere le due forze in grado di ragionare seriamente su un accordo di legislatura capace di essere all’altezza della situazione.

Infine questo ipotetico governo Pd-5S è dannoso (e tossico) per la credibilità della politica tutta, poiché contiene un germe di trasformismo opportunista che finirebbe per avvelenare tutti i pozzi.

Ma come può il M5S (parole del capo politico Di Maio) cercare un accordo con il Pd “senza sedersi al tavolo con Renzi”, quando è evidente a tutti che il vero ispiratore della mossa (nonché controllore della quota di maggioranza relativa dei gruppi parlamentari del suo partito) è proprio l’ex-premier toscano?

E come può il Pd accettare di fare un governo con chi l’ha descritto come “il partito di Bibbiano” fino a qualche giorno fa? Per carità, la politica è l’arte del possibile. Però non può diventare (oltre un certo limite) l’elogio sfacciato del “vale tutto”, perché allora tanto vale smettere di fare le elezioni. Siccome però l’incomprensibile (più nella tempistica che altro) decisione di Salvini ci mette in uno scenario di crisi di governo, dobbiamo uscirne in qualche modo.

A mio avviso la legislatura ha già espresso l’unico governo che era in grado di esprimere, caduto il quale è tempo di ridare la parola agli italiani. Però esiste un preminente interesse nazionale nel fare le cose a modo, senza precipitare tutto con tempistica salviniana.

Chi vota in autunno (ad esempio l’Austria il 29 settembre) l’ha deciso a metà maggio, perché le cosa vanno fatte bene. Quindi poiché il leader della Lega ha deciso di interrompere l’esperienza di governo (senza dimissioni sue e dei colleghi del suo partito, altra stravaganza di questa crisi grottesca) nel mese di agosto occorre (ordinatamente) mettere a posto la sessione di bilancio onde evitare disastri sui mercati e poi andare a votare nella prima metà del nuovo anno.

Per fare questo serve un governo “di decantazione” composto da pochi ed autorevoli ministri, in grado di gestire l’autunno e l’inverno e consentire ai partiti di prepararsi alle elezioni. Anche perché, se ne ricordino Salvini e Di Maio, dopo aver votato per tre volte la riduzione del numero dei parlamentari ora farebbero bene a concludere con il quarto ed ultimo voto, consentendo così alla riforma di entrare in vigore (ci vogliono alcuni mesi per referendum e collegi).

Troppo facile prendere i voti su quel tema e poi fare finta di niente.

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