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Rieccola, la temutissima crisi di governo. Eppure, in un Paese che ha visto succedersi 65 Presidenti del Consiglio dal primo Governo De Gasperi ad oggi, dovremmo esserci abituati. È pur vero che i tempi della rottura dell’alleanza che compone(va) il Governo Conte sono una novità, come una novità potrebbe essere la data delle elezioni politiche che, in modo assolutamente inusuale, potrebbero tenersi in autunno. A questo si accompagna, oltre le fisiologiche fibrillazioni politiche, il timore di scossoni economici e finanziari derivanti dagli apprezzamenti dei mercati internazionali che, piaccia o non piaccia, impattano pesantemente sulla conduzione delle politiche nazionali, e i tempi dettati per i passaggi di bilancio interni che condurranno alla presentazione della legge finanziaria per il 2020. C’è, dunque, una sfera tutta politica in cui ogni partito e movimento gioca, legittimamente, la sua partita, coprendo o scoprendo le proprie carte e lasciando filtrare a beneficio della pubblica opinione quel che è necessario o opportuno rivelare, in una partita che solo in pochi riescono a scorgere in tutte le sue complicate mosse. È la politica, bellezza: nulla di strano. Le dinamiche politiche, tuttavia, devono sottostare a precise regole costituzionali che disciplinano lo svolgimento della crisi di governo, ovvero della presa d’atto della rottura della maggioranza politica che lo sostiene e della fine dell’esperienza dell’esecutivo che, nel nostro regime parlamentare, deve godere della espressa fiducia dei due rami del Parlamento (art. 94, Cost.), il quale, allo stesso modo, può revocarla, sempre “mediante mozione motivata e votata per appello nominale”. Il Presidente del consiglio dei ministri ha chiarito che intende parlamentarizzare la crisi: egli non intende, cioè, rimettere spontaneamente il mandato ricevuto nelle mani del Capo dello Stato (in tal modo attestando de facto la fine dell’esperienza del Governo), ma rifarsi al dettato costituzionale e tornare in Parlamento. È un passaggio non di poco conto: in una situazione politica certamente complicata, in cui i leader preferiscono sfidarsi a colpi di tweet e messaggi sui social, starà ai singoli deputati e senatori, nella loro veste di rappresentanti della Nazione e senza vincolo di mandato (art. 67, Cost.), chiarire di fronte ai cittadini la loro posizione, motivando la propria scelta. In altre parole: la plastica rappresentazione del chi, del cosa e del perché di fronte al Paese. Nulla di traumatico, come qualche commentatore ha voluto evidenziare, ma un passaggio di trasparenza che è costituzionalmente tracciato. Non tutto è così semplice, naturalmente: la mozione di sfiducia presentata avverso il Ministro dell’interno e quella presentata contro il Presidente del Consiglio dei ministri rende il quadro certamente complesso, e sta al Parlamento regolare i diversi passaggi. Solo dopo la parola passerà al Presidente della Repubblica, che è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale (art. 87, Cost.): ricevendo il Presidente del Consiglio dei ministri sfiduciato (o dimissionario in modalità extraparlamentare), prenderà direttamente in carico lo svolgimento della crisi di governo che, naturalmente, è seguita dal Quirinale con attenzione in ogni sua fase. A dispetto della vulgata che vuole il Presidente della Repubblica un mero notaio che dispensa onorificenze, egli riveste, invece, il ruolo di arbitro fondamentale dello svolgimento delle dinamiche costituzionali e, proprio in momenti come questi, può dispiegare con ampiezza tutti i suoi poteri, attraverso l’attenta radiografia della situazione. Come da prassi, egli avvierà, dunque, le consultazioni per valutare, ascoltate le forze politiche (così come i Presidenti delle Camere e gli ex presidenti della Repubblica), quali possano essere le vie da precorrere, verificando, in primo luogo, se vi siano le condizioni per il formarsi di una nuova maggioranza parlamentare a sostegno di una compagine governativa. Altro punto di svolta: come noto, l’attuale governo è stato il risultato (per molti inaspettato) della convergenza di attori politici alternativi che hanno condotto campagne elettorali da avversari e che pure hanno convenuto, sulla base di un contratto di governo, di formare un esecutivo. Tale Governo, dunque, non è stato il risultato della volontà del corpo elettorale,al quale non era stata presentata, prima delle elezioni una opzione del genere. Nulla osterebbe, dunque, anche dal punto di vista della opportunità politica, alla ricerca di una possibile, diversa maggioranza nelle Camere, la quale, naturalmente, non può essere tirata fuori dal cappello dal Capo dello Stato che si limiterà ad ascoltare le varie posizioni e a porre in essere le proprie insindacabili valutazioni. Gli scenari possono, a questo punto, essere vari, magari aperti da un mandato di carattere esplorativo ad una personalità istituzionale o ad un reincarico al Presidente dimissionario, per la formazione di un governo politico o, in alternativa, istituzionale (garantito cioè da una personalità ritenuta super partes). Non può escludersi anche un governo tecnico sostenuto dall’autorità del Presidente, motivato, ad esempio, dalla necessità di chiudere velocemente alcuni dossier economici o portare a termine talune riforme. Entrano in gioco valutazioni che solo il Capo dello Stato, quale garante dell’unità nazionale, può fare, soppesando una serie di elementi che devono portarlo ad una decisione che sia vantaggiosa non per questo o quel partito, ma per il Paese, a dispetto delle pressioni che, inevitabilmente, possano arrivare dalla politica. Solo dopo aver preso atto che nessuna di queste opzioni sia possibile, il Presidente della Repubblica potrà decidere – lui e solo lui  – se sciogliere le Camere, sentiti i loro Presidenti (art. 88, Cost.) e procedere alla indizione di nuove elezioni politiche (art. 87, Cost.). Lo scioglimento del Parlamento è un potere tipicamente ed esclusivamente presidenziale, non soggetto, cioè, ad alcun controllo o limitazione se non quelli previsti dalla Costituzione stessa, che dispone che egli “non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura”( ancora, art. 88, Cost.): si tratta del cosiddetto semestre bianco, a testimoniare il pregevole sistema di pesi e contrappesi previsto della Carta costituzionale. Insomma, sebbene la situazione sia decisamente ingarbugliata, sta alle forze politiche gestire responsabilmente una partita il cui regolamento è, in ogni caso, chiaro, rodato e rassicurante: la mischia politica potrà essere rumorosa e le tifoserie talvolta scomposte, ma chi gestisce fischietto e cartellino agisce nell’interesse della Repubblica, attento a incanalare ogni fase della crisi nei corretti binari indicati dalla Carta e dalla prassi costituzionale. Difficile immaginare il peso immane della responsabilità che cade su chi ricopre la suprema carica dello Stato, soprattutto in certi momenti: la politica dei partiti farà bene a non dimenticarlo, nelle prossime settimane.

Crisi di governo e possibili scenari: dirige il Colle

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