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L’Asia è diventata un focolaio di tensioni che ultimamente hanno assunto via via dimensione superiore fino a diventare dossier globali. “Turbolenze di un certo tipo che non si sperimenta da molto tempo”, fa notare su Twitter Richard Fontaine, direttore del Cnas, il Center for New American Security, think tank washingtonian da cui Barack Obama – il presidente del “Pivot to Asia” – ha pescato diversi membri delle sue amministrazioni.

LO SCONTRO TRA POTENZE ATTORNO AL KASHMIR

Il quadro è ampio, e basta un recap sulle questioni aperte per comprendere delicatezze e profondità. A cominciare, per esempio, dall’India: il governo di Nuova Delhi ha deciso di togliere lo status di autonomia alla regione del Kashmir, una mossa esplosiva perché quei territori sono stati oggetti di guerre con il Pakistan e rivendicazioni – che Islamabad basa sulla contiguità ideologica, i kashmiri sono un enclave musulmana all’interno dell’hub dell’induismo. La geografia complica la situazione, perché la punta del Jammu e Kashmir confina con la Cina in una regione particolare, lo Xinjiang a maggioranza musulmana, dove Pechino sta compiendo un lavoro di rieducazione forzata, al limite della cancellazione dell’identità, per evitare che l’etnia uiguri sia permeata da istanze radicali (e in Kashmir ce ne sono). La sovrapposizione col dossier kashmiri è problematica per i cinesi, che hanno già parlato di “sovranità minata” e hanno detto di affiancare gli “amici” pakistani nelle future controversie. Per essere chiari: sulla vicenda si stanno punzecchiando tre realtà atomiche.

LA GUERRA DEL DRAGONE PER RIUNIRE LE CINE

La Cina, appunto, è il centro – non solo geografico, ma anche politico e dunque geopolitico – di diverse dinamiche. È la più grande potenza dell’area e ha una serie di problematiche connesse alla volontà di crescita. La prima è l’ingaggio con cui gli Stati Uniti stanno portando avanti la competizione che ha in palio la guida del mondo. Washington ha scatenato contro Pechino una guerra commerciale per mettere a nudo determinati comportamenti – ultima, in ordine cronologico, la decisione di designare il governo cinese come un manipolatore di valuta, dopo aver annunciato pochi giorni fa nuovi dazi contro l’export cinese diretto negli Usa: misure usate per contrastare, e portare sotto gli occhi della Comunità internazionali, le strategie scorrette con cui i cinesi cercano di affermarsi. Ma quello sul piano economico-commerciale è solo un punto di sfogo di un confronto globale, che si snoda attorno a diversi altri dossier che innervosiscono particolarmente il Dragone: per esempio la crisi con Hong Kong e le pulsioni indipendentisti di Taiwan, due delle Cine che la New Era di Xi Jinping vorrebbe vedere riannodate a Pechino e su cui invece si dipanano anche interessi esterni di chi la Cina la preferisce frammentata, perché politicamente (ma anche economicamente) più debole.

IL VULCANO NORDCOREANO

Se gli Usa vedono Hong Kong e Taiwan come punti di debolezza per il futuro del Regno di Mezzo, Pechino gioca con la Corea del Nord. Il dossier collegato al satrapo Kim Jong-un è una scommessa politica per Donald Trump che si sta rivelando un fallimento. Il presidente americano – che ha lanciato attorno a Pyongyang una pesante operazione diplomatica, e soprattutto mediatica – è costretto a minimizzare gli svariati test missilistici con cui nell’ultima decina di giorni il regime nordcoreano ha mandato messaggi di impazienza controllata a Washington – dove Trump s’è intestato un processo di rappacificazione che difficilmente incontrerà il consenso di Kim a meno di riconoscere de facto la Corea del Nord come una potenza nucleare (facendola entrare più che in un processo di denuclearizzazione sotto un sistema di controllo degli armamenti che complicherebbe gli equilibri della regione). Pyongyang è un satellite di Pechino, e sul dossier Xi vuole avere l’ultima parola: il cinese non tollera le mattane del vassallo nordcoreano, ma mantiene viva la linea di collegamenti economici vitali (altrimenti assenti sotto lo sfiancante peso delle sanzioni americane). Una forma di ricatto: dalla Cina il dossier-Nord può essere usato, e in questi giorni in cui si discute di sistemi missilistici post-Inf (il trattato d’era sovietica che poneva sotto controllo le armi nucleare i medio-raggio, dichiarato chiuso da Stati Uniti e Russia) anche in ottica cinese, arriva un doppio messaggio: i test di Kim abbinati a una dichiarazione rubata da Associated Press a Pechino, “non staremo fermi a guardare” se gli Usa schiereranno armamenti nucleari in Asia.

LA RISSA NIPPO-SUDCOREANA

Un contraccolpo di questo contesto delicatissimo con diversi punti di infiammabilità regionale è lo scontro tra Giappone e Corea del Sud, i due più importanti alleati americani in Asia. Tokyo ha cancellato Seul della “lista bianca” dei paesi con cui il commercio ha vie facilitate e ha imposto una peso burocratico che complica le esportazioni. Ed è stata un decisione fortissima, perché per il Giappone arrivare a toccare i canali commerciali è fuori dall’uso dottrinale: il commercio ha connessioni di dimensioni extra-nazionali e solitamente non viene messo in campo all’interno di dispute di carattere politico. Qual è in questo caso? Seul chiede a Tokyo scuse formali per lo sfruttamento coloniale durante l’epoca imperiale da sempre, ma ora si è arrivati ai ferri corti per decisioni prese da ambo i lati in un mondo che diventa sempre più individualista e meno accorto agli equilibri generali. S’è innescata così una questione culturale, e dunque profonda, sentita soprattutto all’interno di una fascia demografica in là con gli anni, che però sia in Giappone che in Corea del Sud è quella che contribuisce ad alzare l’affluenza elettorale – dunque i governi la considerano pesante in termini di voti, e quindi da ascoltare. In mezzo alla disputa una decina di giorni fa si sono inserite Russia e Cina, che durante una delle esercitazione che in questo momento vediamo e vedremo intensificarsi hanno svalicato i primi cieli oggetto del riconoscimento aereo sudcoreano, ossia le rocce di Liancourt, territori in mezzo al Mar del Giappone che Tokyo e Seul si litigano dal dopoguerra. E Mosca e Pechino le hanno sorvolate per far riaffiorare la diatriba.

(Foto: Nasa)

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