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Stabilizzare la Libia conviene. Ai libici e all’Italia, che nell’ex colonia esporta molto. O meglio esportava. Il Centro studi di Confindustria ha acceso un faro sull’attuale situazione nel Paese nord-africano, tirando le somme sui danni di una destabilizzazione iniziata con la caduta rovinosa di Gheddafi. Il fatto è che riportare ordine in Libia sarebbe un gran bel vantaggio per le nostre imprese.

LA SITUAZIONE

La situazione libica è altamente critica. Il Paese affronta quella che è di fatto la terza guerra civile degli ultimi otto anni, senza una prospettiva futura concreta. L’aggressione che il 4 aprile il signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, ha lanciato contro Tripoli, dove è insediato un governo insediato dall’Onu e guidato da Fayez Serraj, ha dimostrato come l’instabilità sia l’elemento di fondo nel paese. Il piano di rappacificazione onusiano delineato nel 2015 s’è rivelato inefficace, e il governo di accordo nazionale non ha mai completato il suo operato – raccogliere il Paese per l’esercizio elettorale – per l’opposizione della Cirenaica e di chi dall’esterno ne copre gli interessi. Conseguenza della situazione è che l’economia libica soffre – ancora di più negli ultimi mesi, con la mossa di Haftar che è stato una forte spinta alla destabilizzazione. L’output petrolifero – enorme risorsa libica – si muove a rilento e i campi a est sono occupati militarmente da Haftar mentre quelli a ovest restano in funzione. In tutto ciò la banca centrale soffre problematiche anche di governance in mezzo ai disordini e lo stesso vale per il maxi fondo di investimenti (Lia).

I DANNI DELLA GUERRA

Chiarito il punto, entrano in gioco i calcoli di Confindustria, contenuti in un paper. Tanto per cominciare, per far ripartire l’economia libica “servono ingenti investimenti in infrastrutture, in primis quelle legate alla produzione del petrolio: stime dell’Fmi riportavano che i danni alle infrastrutture ammontassero già nel 2017 a 80 miliardi di dollari (circa 72 miliardi di euro). Dato il proseguimento dell’instabilità e l’acuirsi degli scontri negli ultimi mesi tale stima viene rivista al rialzo, in modo piuttosto conservativo, a 80 miliardi di euro. A questi danni occorre aggiungere la minore accumulazione di capitale produttivo dovuta al crollo degli investimenti. Se gli investimenti fissi tra il 2011 e il 2018 si fossero attestati sui livelli del 2010, la Libia avrebbe una dotazione di capitale (al netto del deprezzamento) superiore di 70 miliardi di euro”, scrive il Csc.

LE IMPRESE ITALIANE DINNANZI AL CAOS LIBICO

Se la Libia riagganciasse il sentiero di sviluppo di paesi simili come l’Algeria e al contempo l’Italia riuscisse a rendere la sua distribuzione di export più indipendente dagli idrocarburi, “, fa notare il Centro studi di Confindustria. “In gioco c’è circa un miliardo di export potenziale, di cui oltre un terzo (346 milioni di euro) sarebbe assorbito dai macchinari, seguito da alimentare, chimica e metalli. Le statistiche dei settori del fashion risentono della forte concorrenza della Cina. Non si può escludere che un arricchimento porti a un bilanciamento della struttura settoriale anche in favore di questi comparti. Complessivamente, quindi, l’avvio di un programma di stabilizzazione in Libia porterebbe benefici alle imprese italiane stimabili in 4 miliardi l’anno per il prossimo decennio. Soprattutto, porterebbe vantaggi inestimabili per l’Italia, l’Europa e la comunità internazionale, derivanti da un maggiore controllo in un paese chiave nelle rotte dei flussi migratori e per l’approvvigionamento energetico”.

La pace in Libia conviene alle imprese italiane. Parola di Confindustria

Di Emanuele Rossi e Gianluca Zapponini

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