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Più rabbia che caldo. Il Vaticano é un vulcano di commenti a dir poco negativi. La messa in stato d’accusa di Mons. Carlo Maria Viganò, ex Nunzio apostolico negli Stati Uniti, viene ritenuta un colossale boomerang o, peggio, un tirarsi la zappa sui piedi. Nelle stanze della Segreteria di Stato, dove il tempo si misura in secoli, e in pectore da diversi cardinali e vescovi italiani o sparsi per mondo, lo sgomento viene espresso alzando gli occhi al cielo. Secondo la nomenclatura vaticana, l’intervento dell’ex Sant’Offizio col piglio dell’Inquisizione spagnola, lancia Viganò al culmine di una notorietà mondiale che amplificherà all’infinito le sue prese di posizioni, che erano già confinate nell’oblio.

Un gigantesco errore di valutazione ecclesiale e di comunicazione, che fa riprecipitare la Chiesa nei secoli bui di Giordano Bruno e di Torquemada. E più andrà avanti l’inutile e talmente antistorico da sconfinare nel ridicolo, processo contro l’83 enne Arcivescovo ormai pensionato, più la valanga mediatica e le perplessità dell’opinione pubblica internazionale si abbatteranno sul Papa Francesco e la Santa Sede. Fra le mura leonine, le gerarchie non sanno più letteralmente a che Santo votarsi e sottolineano come dall’inizio dell’anno l’86enne Pontefice é stato protagonista di una serie di prese di posizione e affermazioni che hanno provocato dei veri e propri sconquassi non soltanto mediatici, ma anche diplomatici.

Come quando a marzo, a proposito dell’Ucraina, dichiarò testualmente alla televisione Svizzera, “quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare”. Un invito a sventolare bandiera bianca che indignò mezzo mondo, quello delle democrazie occidentali, e fece applaudire tutte le dittature solidali con Putin. Ancora più clamorosa la gaffe di maggio sui gay nei seminari, della quale ancora non si intravede la fine dell’onda lunga delle reazioni che scuotono la Chiesa dall’interno e dall’esterno.

Una presa di posizione che ha fatto tornare alla ribalta non soltanto il libro inchiesta dello scrittore francese Frederic Martell Sodoma, secondo il quale 8 preti su 10 sarebbero omosessuali, ma anche le stesse accuse di Viganò che a più riprese aveva puntato il dito contro il Vaticano per non aver fatto niente per rimuovere né la lobby gay né l’ex cardinale americano McCarrick, accusato di avere abusato numerosi seminaristi e che solo dopo l’elezione al Soglio di Pietro di Papa Francesco é stato punito e ridotto personalmente dal Pontefice allo stato laicale.

Valanghe continue di polemiche e recriminazioni, tuttavia placate dal carismatico intervento di Bergoglio al G7 dell’inizio di giugno in Puglia, accanto ai maggiori leader mondiali. Tutto vanificato dall’incriminazione addirittura per “scisma” ed “eresia” di Viganò. Concetti rimossi dalla coscienza storica e culturale dell’Europa, epicentro per secoli di guerre di religione e di roghi di eretici, difficilmente spiegabili alle generazioni post conciliari senza contraddire l’attualità della libertà di pensiero e dell’evoluzione digitale.

Il processo ai deliri contro il Concilio e a favore dei no vax, gli osanna all’ultraconservatore e scomunicato Vescovo Marcel Lefebre e a Putin, non fa altro che diffondere in maniera esponenziale le false e livorose accuse dell’ex nunzio per il quale – sostengono sommessamente gli ambienti della Segreteria di Stato – sarebbe bastato attendere il decorso del tempo e la pietra tombale del silenzio. Una lapide trasformata invece in una diabolica epopea di calunnie, mistificazioni, malvagità conservatrici di quella parte della Chiesa rivolta esclusivamente verso il passato perché incapace di guardare con lo spirito autentico del Vangelo e del messaggio cristiano all’oggi e soprattutto al domani dell’umanità. Un tramonto dai riflessi gesuitici che rischia di vanificare gli effetti positivi di un pontificato innovatore, ma che non fa uscire la Chiesa dal guado della mancata modernizzazione e dell’adeguamento teologale globale.

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