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Alla fine, come prevedibile, il piano B si è tradotto in un mandato della House of Commons alla premier Theresa May per tornare a Bruxelles a trattare una modifica al controverso meccanismo del Backstop al confine irlandese contenuto nel Withdrawal Agreement che, proprio per questo motivo, era stato bocciato dagli stessi Comuni lo scorso 15 gennaio. Eppure il voto che si è consumato ieri a Westminster presenta degli elementi molto importanti per comprendere gli umori sul versante britannico della Manica in merito a come procedere con Brexit a solo un mese di sedute parlamentari dalla data di uscita prevista per il 29 marzo.

Due sono stati gli emendamenti che ci forniscono questa visione. Il primo quello del conservatore Graham Brady, approvato con 317 voti favorevoli e 301 contrari, che richiede di trovare alternative al meccanismo del Backstop fornendo così alla premier May il mandato di Westminster a trattare la modifica con Bruxelles. Il secondo è quello della labourista Yvette Cooper, bocciato per 321 voti contro 298, che chiedeva di posticipare Brexit fino al 31 dicembre nel caso in cui entro il 26 febbraio il Withdrawal Agreement non fosse stato approvato.

In questo voto è presente la visione del Parlamento britannico che manifesta una maggioranza favorevole ad un’uscita dall’Ue con un accordo, e su questo i Conservatives si sono ricompattati, ma per farlo richiede una modifica al meccanismo del Backstop al confine irlandese che rispetti quanto faticosamente raggiunto in passato con l’accordo del Venerdì Santo ma che non comporti un disallineamento tra l’Irlanda del Nord ed il resto del Regno Unito né una sostanziale permanenza a tempo indeterminato del Regno Unito nell’Unione Doganale con l’Ue. E nel chiedere questa modifica la House of Commons ritiene di fornire alla premier un mandato pieno senza disinnescare “l’arma” rappresentata dallo scenario di un’uscita No-Deal il 29 marzo.

A questo punto bisognerà verificare quale sarà la posizione sul versante dell’Unione europea. Le prime dichiarazioni non sembrano aprire molto spazio a modifiche nell’accordo legale rappresentato dal Withdrawal Agreement. Sia il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, che il presidente francese Emmanuel Macron, che il ministro degli Esteri Irlandese Simon Coveney hanno infatti escluso la possibilità di riaprire le negoziazioni, ma hanno dato disponibilità a lavorare per modifiche sul testo della dichiarazione sulle future relazioni.

È ora da verificare quanto questa posizione di chiusura resterà tale o quanto invece il timore di uno scenario No-Deal, che entrambe le parti vogliono evitare, possa determinare un’apertura per una nuova soluzione, che sia però sempre efficace a scongiurare il rischio di una ripresa delle tensioni al confine irlandese.

Una soluzione potrebbe essere rappresentata dal cosiddetto “piano Malthouse” che consiste nell’allungamento di un anno del periodo di transizione per garantire la realizzazione di un accordo di libero mercato tra le parti, ma ponendo la fine del 2021 come data termine oltre la quale ci sarebbe un’uscita secondo i termini del Wto con un accordo commerciale provvisorio in attesa di un accordo complessivo sulle future relazioni.

Per ora, in attesa che riprendano le negoziazioni, un’uscita No-Deal il 29 marzo, per quanto da nessuno auspicata, non è ancora da escludere, e per questo molte aziende stanno approntando dei piani per fronteggiare tale eventualità, così come sia la Commissione Europea che il Governo britannico hanno emanato delle linee guida su come fronteggiare un eventuale scenario da “Hard Brexit”. Anche in Italia, Paese caratterizzato da forti interrelazioni con il Regno Unito, ci si sta preparando per limitare i danni nel caso di una Brexit senza accordi.

Nelle scorse settimane è stata presentata una proposta parlamentare, con firmatari tra gli altri i deputati Massimo Ungaro e Lia Quartapelle, finalizzata a mettere in atto tutte le misure necessarie a tutelare i cittadini italiani e le relazioni economico-politiche tra Italia e Regno Unito. Necessità ribadita, per quanto attiene al settore finanziario, anche dal presidente di Select Milano Bepi Pezzulli. Sul tema è negli scorsi giorni intervenuto il ministero dell’Economia e delle Finanze che, in stretto raccordo con le Autorità di Vigilanza e le associazioni di categoria, ha predisposto misure, da adottarsi con decreto legge laddove ne ricorresse la necessità, finalizzate a garantire la stabilità finanziaria e la continuità operativa di mercati e intermediari sia per gli operatori britannici che svolgono l’attività in Italia che viceversa.

Lo scenario No-Deal non si può ancora escludere, ma il voto di ieri sera a Westminster imprime una nuova spinta per il raggiungimento di un accordo. Un nuovo round di colloqui tra le parti abbia inizio.

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