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“Leggeri in volo” era il payoff di Poggipolini già nel 1970. “L’abbiamo ritrovato qualche mese fa”, racconta Michele Poggipolini, 40 anni, amministratore delegato dell’azienda di San Lazzaro di Savena (Bologna), leader nel settore della meccanica di precisione. È stato suo nonno, Calisto, ad aprire l’officina nel 1950. Poi i genitori, Stefano e Rosanna, hanno iniziato a girare i circuiti di motocross per vendere. “Nel 1970, i miei genitori presentavano le prime viti in titanio per le moto da corsa e quel payoff nasceva dalla passione di mio padre per il motocross”.

Una profezia?  

In un certo senso, sì. Fino al 2010 il 90% del nostro fatturato arrivava dalla Formula 1 e dal rapporto in esclusiva con la Ferrari. Il nuovo regolamento tecnico e sportivo della Formula 1 ha eliminato i test e le doppie macchine. Il numero di motori si è ridotto del 70%. E per noi, che allora avevamo una cinquantina di dipendenti, ciò ha significato una diminuzione del fatturato del 65% in meno di un anno, da 10 milioni di euro a 4,5 milioni di euro.

Ora i numeri sono altri: 50 milioni di fatturato consolidato e 240 dipendenti. Nel 2021 avevate acquisito la lombarda Aviomec e a novembre la texana Houston Precision Fasteners. Com’è stato possibile?  

Lo raccontano i mercati. Aerospazio e difesa rappresentano oggi il 75% del nostro fatturato. Automotive e motorsport seguono rispettivamente al 15% e al 5%.

Prima del 2010, lei di cosa si occupava?  

Dal 2003 al 2010 mi sono occupato di un altro progetto, il brand Ncr, diventato l’atelier motociclistico tra i più esclusivi del mondo. Avevo un obiettivo chiaro: utilizzare la tecnologia sviluppata con la Formula 1 per fare la Pagani delle due ruote, una moto in titanio e carbonio, per dimostrare che Poggipolini non sa fare solo i bulloni ma può sviluppare un mezzo da zero.

Quando è avvenuto l’ingresso nella casa madre?  

Nel 2009, l’anno in cui sono stati annunciati i nuovi regolamenti della Formula 1. Mi occupavo principalmente di internazionalizzare i mercati rafforzando la nostra presenza in quello dell’industria aeronautica.

Come vi eravate entrati?  

Era il 1996, con Agusta. Avevano un problema con l’elicottero EH101 e gli ingegneri della Ferrari gli consigliarono di rivolgersi a noi.

Il 2010 è stato l’anno della svolta per l’azienda?  

Sì. Sono orgoglioso di ricordare che non abbiamo acceduto alla cassa integrazione. Abbiamo recuperato parte del fatturato grazie alla Formula 1: non c’era più l’esclusiva con la Ferrari e io sono partito per l’Inghilterra per ottenere l’approvazione di altre case come Red Bull, McLaren e Mercedes. Inoltre, ciò che facevamo per i ducatisti, ovvero personalizzazioni molto spinte per le moto, abbiamo iniziato a proporlo alle più importanti case automobilistiche. È stato così che abbiamo potuto portare avanti la scommessa sull’aerospazio e sulla difesa, diventando in poco tempo partner tecnologico di aziende come Leonardo, Safran, Boeing, General Electric e Kawasaki Heavy Industries.

E sul fronte commerciale?  

L’aereo commerciale per noi è stata la sfida più grande. Abbiamo iniziato a investire nel processo produttivo cambiando il paradigma della fornitura, lavorando per ship-set e non solo su grandi volumi. Questo ci permette di essere molto flessibili, competitivi e di ridurre i tempi di consegna. È la nostra forza, anche alla luce del fatto che le viti negli aerei commerciali sono rimaste pressoché le stesse nel corso degli anni, a differenza di quanto accaduto nei programmi spaziali, negli elicotteri e in generale nella difesa.

Lo scorso novembre avete annunciato l’acquisizione di Houston Precision Fasteners, già fornitore di gruppi come SpaceX, Blue Origin, Boeing, Lockheed Martin, Bombardier Aerospace, Axiom, Northrop Grumman e Bell. Avete messo un altro piede nel mercato americano. Com’è stato farlo acquisendo un’azienda simile?  

È stato un passo importante per una pmi italiana. Il nostro obiettivo è scalare il mercato potenziando al massimo le nostre tecnologie. In questo senso, il mercato statunitense è fondamentale per la nostra crescita strategica a lungo termine. Entrambe le aziende concordano su valori e aspirazioni. A Houston c’è grande voglia di crescere e ascoltare le proposte italiane. Noi siamo lì per migliorare i processi e far crescere l’azienda. Certo, la cultura del lavoro è diversa. Ma ho trovato un forte attaccamento, che ci unisce molto. Inoltre, stiamo iniziando a collaborare con il mondo accademico locale, anche tramite un programma per talenti. Negli Stati Uniti c’è un ecosistema al fianco dell’imprenditore che rende semplice fare impresa, più che in Italia.

È della scorsa settimana il riconoscimento da parte di Lockheed Martin e Nasa come fornitore strategico e principale per il programma Artemis, che punta a riportare l’uomo sulla Luna e a preparare il terreno per future missioni su Marte. Che sensazione ha provato?  

È un importante riconoscimento del contributo di Houston Precision Fasteners nella fornitura di fissaggi speciali e componenti meccanici per la capsula Orion, prodotta da Lockheed Martin. Per un gruppo che batte bandiera italiana è un premio eccezionale, un segno di fiducia nella nostra capacità di contribuire a uno dei progetti più ambiziosi e strategici della storia dell’umanità.

Che cosa c’è nel futuro dell’azienda?  

Vogliamo consolidare ciò che stiamo facendo, anche integrando altre aziende con eccellenze su specifici prodotti che possono essere nelle corde del nostro gruppo, per ampliare l’offerta internazionale.

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