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C’era una volta un’età d’oro del benessere. Poi incidenti, tradimenti e complotti impoverirono gli italiani. Questa è la favoletta consolatrice che oggi raccontano tutti i partiti, compreso il Pd. Ma c’è chi questa favoletta si è stancato di ascoltarla. C’è chi se ne infischia di essere consolato. Finché il tracollo della nostra economia viene raccontato con l’intento di assolvere o discolpare l’uditorio, di farlo sentire vittima e con la coscienza a posto, di coccolarlo, di rabbonirlo e magari di strappargli il suo voto, non capiremo mai cosa è successo davvero e non troveremo mai una via d’uscita.

E allora diciamoci le cose come stanno. Diciamoci che per decenni il nord-ovest del mondo si era procurato il suo benessere attraverso un modello di sviluppo insostenibile, basato su due tacite premesse: primo, che la natura potesse essere sfruttata senza limiti e senza scrupoli; secondo, che gli altri popoli del mondo se ne restassero in uno stato di minorità, a morire di fame lontani dai nostri occhi con un pugno di riso al giorno.

Diciamoci anche che l’Italia, rispetto agli altri paesi industrializzati, ha seguito quel modello di sviluppo con parecchia goffaggine. È riuscita nel capolavoro di allineare un enorme debito pubblico, una tassazione schiacciante, un’evasione fiscale spaventosa (quest’anno è pari al PIL dell’Ungheria), un sistema di imprese a basso valore aggiunto e bassa produttività, salari bassi e una popolazione anziana.

Una miscela bevendo la quale era difficile non intossicarsi. Gli altri paesi industrializzati hanno al massimo un paio di questi difetti, mentre l’Italia li ha collezionati tutti. Il benessere dell’età d’oro, perciò, veniva pagato da tre soggetti: le persone lontane nello spazio, le persone lontane nel tempo, e l’ecosistema che ci accoglie tutti.

Adesso il banco è saltato. Gli altri popoli hanno iniziato a scrollarsi di dosso il loro stato di minorità. I giovani come me devono fare i conti con i debiti che hanno ereditato, sia quelli finanziari che quelli ambientali (la città in cui vivo, Roma, di fatto è stata stritolata da consumo di suolo abusivo, dipendenza dal petrolio e incapacità di fare a meno della sua vecchia discarica). E la natura dà i primi segnali sinistri del suo degrado.

Diciamoci quindi, con tutta franchezza, che ripristinare quel benessere, procurato da quello sviluppo, è non solo impossibile, ma soprattutto ingiusto. Ciò non vuol dire che l’Italia non conoscerà più nessun benessere. Ma che è arrivata davanti a un bivio: convertirsi o morire. Oggi per noi l’unica chance di ritrovare il benessere è cambiare al più presto modello di sviluppo.

La terza opzione millantata dai leghisti, ossia tornare indietro e restaurare il benessere di prima, in realtà non esiste: sceglierla equivale a rimanere in agonia, distraendoci con la caccia al negro e con le foto dei panini. Come si fa, però, a cambiare modello di sviluppo? Rafforzando di pari passo tecnologia e difesa dell’ambiente, imponendo la trasparenza e investendo sull’istruzione, sfruttando quei grandi laboratori di innovazione che sono le metropoli e aprendo quegli ancora più grandi laboratori che sono le aree interne spopolate.

Non che le risorse ci manchino: con i soldi della quota 100 si poteva raddoppiare il bilancio delle università italiane; con i 14 miliardi di fondi europei per l’ambiente non spesi si potevano abbattere le emissioni inquinanti in intere città…

Tutte mosse che avrebbero aumentato le opportunità di lavoro e la qualità della vita in Italia, ma che la politica/televendita, della quale ormai viviamo prigionieri, non poteva e non può permettersi di fare, visto che le farebbero perdere clienti e audience.
E allora bisogna dichiarare guerra alle televendite. Bisogna costringere la politica a rialzare la testa e a fare progetti sul lungo termine.

Figli Costituenti, così abbiamo chiamato la nostra proposta d’iniziativa popolare per aggiornare la Costituzione con i nuovi princìpi di equità fra generazioni, difesa dell’ambiente e sviluppo sostenibile. Una ghigliottina per qualunque governo che in futuro provasse a comprarsi il consenso scaricando debito ambientale e finanziario su un’altra generazione. Una reazione da parte di quei giovani che sono stanchi di venire fregati. Per i quali strillare contro l’Europa, il neoliberismo, le Onlus, Soros e Cthulhu mentre l’economia collassa non è una fine onorevole. Per i quali il problema del governo non è che è cattivo, è che è bugiardo e continua a fregarli.

Figli Costituenti, ovvero: da adesso le regole del gioco politico le dettano le future generazioni. Da oggi, su questa campagna, partono tre giorni di mobilitazione nazionale. A raccogliere le firme ci saranno +Europa, che l’ha ideata, e una decina di altri movimenti e associazioni tra cui Volt, Tortuga, Yezers, il Team Köllensperger, Passaggi a Nord Est e Brainstorm, col supporto dell’AIGA (Giovani Avvocati) e dell’ASIGN (Giovani Notai). Un’area politica dinamica, ambientalista, europeista e liberale, ancora poco nota, ma che forse dopo questa battaglia farà ancora parlare di sé.

Ecco perché non rivogliamo il benessere di prima. Le proposte di Figli Costituenti

Di Emanuele Pinelli

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