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Com’era prevedibile e a prescindere da come la si pensi, i nodi stanno venendo al pettine. La richiesta di autorizzazione a procedere presentata dal Tribunale dei ministri di Catania al Senato nei confronti di Matteo Salvini ha sorpreso il ministro dell’Interno, che faticava a contenere la rabbia durante la diretta Facebook in cui ha mostrato il provvedimento, e pone di fronte a un bivio alcuni soggetti: lo stesso Salvini, il Movimento 5 stelle e l’Aula di Palazzo Madama.

La richiesta del Tribunale è il primo punto fermo dopo quanto avvenuto nell’agosto scorso, quando Nave Diciotti della Guardia costiera restò dal 20 al 25 agosto nel porto di Catania con 177 persone a bordo perché il ministro non ne autorizzava lo sbarco. La vicenda si sbloccò dopo l’accordo con la Cei, l’Albania e l’Irlanda: quasi tutte quelle persone poi si resero irreperibili.

Quando si è troppo sicuri di sé si fanno dichiarazioni avventate e quindi resta impressa l’intervista pubblicata da Libero il 27 agosto scorso nella quale il ministro rispose “Assolutamente no” alla domanda se avrebbe chiesto al Senato di bocciare un’eventuale richiesta di autorizzazione. Nella diretta Facebook non ha fatto cenno alla rinuncia dell’immunità riferendosi anzi a un “chiarimento in Senato” e precisando il giorno dopo che “il voto ci deve essere”, che “il Senato è sovrano e non voglio sostituirmi al Senato”. Il ministro sostiene che i legali da lui interpellati ritengono quella dei magistrati “un’invasione di campo di un potere dello Stato nei confronti di un altro potere dello Stato”. I giochi cominceranno presto perché la richiesta del Tribunale dei ministri potrebbe approdare il 30 gennaio dinanzi alla Giunta per le immunità: in sintesi, rimettersi al voto smentisce quanto dichiarato senza incertezze ad agosto mentre sembra davvero improbabile che (come conseguenza dell’opinione di quei legali) possa essere sollevato un conflitto di attribuzione.

D’altra parte, un eventuale voto probabilmente lo metterebbe al sicuro perché un pezzo dell’opposizione si schiererebbe con lui: Forza Italia e Fratelli d’Italia ne hanno già preso le difese. Resta l’imbarazzo del M5S che se votasse contro l’autorizzazione creerebbe smottamenti nella componente più di sinistra e se votasse a favore causerebbe semplicemente una crisi di governo. Nella diretta Facebook Salvini era talmente infuriato da aggiungere benzina sul fuoco: più che legittimo ritenersi innocente, meno ammettere ripetutamente di aver compiuto gli atti che gli contestano, di aver bloccato le procedure previste dalla legge, che era suo dovere farlo e che lo rifarebbe: “Se è un reato sono colpevole”. All’articolo 605 del Codice penale (sequestro di persona aggravato dalla minore età di alcuni dei 177 soggetti a bordo della nave e dall’essere stato compiuto da un pubblico ufficiale), il ministro contrappone l’articolo 52 della Costituzione per il quale “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”.

Insieme con la vicenda Salvini-Diciotti, nei prossimi giorni terrà banco l’ennesimo caso di una nave con a bordo migranti che l’Italia non vuole accogliere e che costringerà le autorità europee ad altri giochi di prestigio. La Sea Watch 3 con 47 persone a bordo è in acque italiane, a 1 miglio da Siracusa, autorizzata a ripararsi per le condizioni meteo. Una nota della Guardia costiera fa notare che, anche stavolta, la nave dell’Ong non ha rispettato l’autorità libica perché il 19 gennaio ha raccolto quelle persone in area Sar libica e, “senza il coordinamento dell’autorità Sar competente”, ha cominciato a dirigersi verso Lampedusa per le condizioni meteorologiche in peggioramento. L’ultimo caso analogo si concluse con lo sbarco a Malta e con l’impegno di suddividere i migranti tra numerosi Stati europei, suddivisione che non è ancora cominciata. Stavolta Sea Watch 3 è a un passo dall’Italia e la linea del governo non prevede altri sbarchi dopo il mancato rispetto delle ricollocazioni degli ultimi mesi. Su questo anche il M5S è compatto con Salvini: sia Luigi Di Maio sia Danilo Toninelli insistono perché se ne facciano carico la Francia (costante nemico politico) o l’Olanda (bandiera battuta da Sea Watch).

La vicenda sta seguendo le vie diplomatiche dopo la nota verbale che il ministero degli Esteri ha inviato al governo olandese invitandolo “a predisporre, con urgenza, gli adempimenti relativi all’organizzazione della presa in carico e del trasferimento in territorio olandese dei 47 migranti a bordo della nave olandese Sea Watch”. Inoltre, la Farnesina chiede notizie sulla conformità dell’Ong alla legislazione olandese, sulle imbarcazioni e sull’equipaggio. Salvini l’ha sintetizzata così: “Se è vero che Sea Watch non rispetta le indicazioni arrivate anche dal governo olandese, ha finito di stare in mare”.

L’accavallarsi di rigide prese di posizione e di fatti di cronaca nasconde quelle che sono le vere domande di questa epoca e che, anche se in un contesto del tutto diverso, riguardano anche il caso di Mimmo Lucano, il sindaco di Riace arrestato nello scorso ottobre per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. I suoi difensori hanno sempre puntato sulle numerose altre accuse della procura cassate dal gip, ma non hanno mai risposto al quesito più semplice: può un pubblico ufficiale come un sindaco attribuire carte di identità a chi non ne ha diritto, favorendo matrimoni per aiutare alcune immigrate? Che cosa accomuna Lucano a Salvini? In uno Stato di diritto si possono violare le leggi per sostenere una posizione politica o non verrebbe meno quello Stato di diritto? La risposta di uno studente di giurisprudenza sarebbe scontata, quella della politica dipende dai giorni.

salvini, sea watch

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