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In Africa la Cina ha portato avanti una gigantesca aggressione alle industrie del continente mascherata da finanziamenti propedeutici allo sviluppo dei Paesi. Ed è successo lungo l’asse della Via della Seta, per esempio in Pakistan, dove Pechino è divenuto monopolista della fornitura di energia, con contratti a dir poco avvelenati per il governo di Islamabad.

Adesso la storia sembra ripetersi, ma con un altro attore, per la verità abbastanza in continuità con il Dragone: la Russia. Stavolta il campo di gioco è quello dell’acciaio. In questi giorni alcuni emissari del Cremlino stanno infatti negoziando con le autorità pakistane, il salvataggio di Steel Mills, società statale che produce acciaio laminato lungo e prodotti in metallo pesante. Con sede a Karachi è attualmente la più grande mega-corporazione industriale del Pakistan, con una capacità produttiva di 1,1-5,0 milioni di tonnellate.

Ora, l’acciaieria, la più grande dell’area centro-asiatica, ha un debito di 345 miliardi di rupie, circa 1,2 miliardi di dollari. Una situazione diventata nel tempo insostenibile per lo stesso governo di Islamabad, che ne é l’azionista a tutti gli effetti, tanto che lo stabilimento è a mezzo servizio da quasi dieci anni. Le autorità pakistane si sono rivolte Mosca per imbastire una ristrutturazione in extremis, ignorando il fatto che niente si fa per niente. Lecito dunque presupporre che la Russia stia di fatto mettendo le mani sull’acciaio pakistano. La prova è anche nell’incontro di qualche mese fa tra il ministro dell’Industria russo, Aleksei Gruzdev e il suo omonimo Rana Tanveer Hussain, durante il quale si è parlato apertamente di condizioni per facilitare l’arrivo di investitori russi.

Impossibile non pensare a un modus operandi molto cinese. Il precedente, d’altronde, c’è. Tutto è cominciato dieci anni fa, quando il governo di Islamabad, gravemente a corto di energia, si è rivolto a Pechino affinché costruisse più di una dozzina di centrali elettriche a carbone, solari e idroelettriche, nell’ambito dell’enorme sforzo infrastrutturale intrapreso dalla Cina nel Paese e inserito nella Belt&Road. L’accordo tra Pakistan e Cina per la centrale elettrica faceva parte di accordi infrastrutturali da 25 miliardi di dollari, che miravano a stabilire un corridoio commerciale tra i due Paesi e ad aiutare l’economia pakistana a decollare. Ma per assicurarsi le centrali elettriche, il Pakistan ha garantito alle compagnie statali cinesi rendimenti annuali in dollari fino al 34% sulla capacità di generazione installata, indipendentemente dal fatto che l’energia venga utilizzata o meno. Questo ha posto le basi per un enorme debito.

Problema. Oggi la domanda del Paese asiatico è pari a circa il 40% del fabbisogno. Ma nonostante questo, non essendoci una proporzionalità, Islamabad deve pagare un costo del 34% su una domanda del 40%. Morali, per onorare il debito con Pechino, le autorità cinesi sono state costrette ad aumentare i costi in bolletta in modo esponenziale, gettando intere famiglie e decine di migliaia di attività nell’insolvenza.

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