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L’Italia potrebbe beneficiare dell’esclusione della Turchia dal programma F-35. La decisione di Washington di sospendere le forniture ad Ankara relative al velivolo è ancora provvisoria, in attesa di una rinuncia “inequivocabile” dei turchi al sistema russo S-400. Eppure, il Pentagono ha già annunciato l’avvio della valutazione su “fonti secondarie di fornitura”, necessarie a sostituire l’attuale contributo dell’industria turca. Per il nostro Paese ci sarebbe l’opportunità di aumentare il lavoro nell’ambito del programma (e dunque i ritorni), a patto di una conferma sugli impegni previsti e della capacità di proporre le eccellenze concentrate nel sito novarese di Cameri.

LA DECISIONE DEL PENTAGONO

Per ora, dal Pentagono è arrivata una prima sospensione su equipaggiamenti di supporto e forniture relative ai velivoli turchi, passo che a molti lascia presagire conseguenze ben più determinanti. La ritorsione è apparsa inevitabile, vista la determinazione con cui Ankara procede nell’acquisto del sistema missilistico russo S-400, con annesse criticità dell’utilizzo di un assetto non-Nato all’interno di un sistema di comando e controllo dell’Alleanza Atlantica. Tecnicamente, il problema sollevato da Washington da diversi mesi riguarda l’interoperabilità, nonché la possibilità che informazioni sensibili arrivino nelle mani di Mosca. Ogni assetto di difesa missilistica acquisisce infatti dati rilevanti sui velivoli che rientrano nel medesimo sistema di comando e controllo. Difficile immaginare che un S-400, seppur operato dai turchi, non mantenga l’opportunità di inviare tali informazioni alla casa madre.

UN’EVENTUALITÀ A CUI PREPARARSI

Nonostante il segretario alla Difesa Usa pro tempore Patrick Shanahan abbia espresso “ottimismo” sulla risoluzione della disputa, lo scenario dell’esclusione della Turchia dal programma è dunque da tenere in conto. Una particolare attenzione su questa eventualità dovrebbe arrivare proprio dall’Italia, Paese che ospita l’unica linea in Europa per l’assemblaggio e la verifica finale dei velivoli di quinta generazioni. Il sito di Cameri, in provincia di Novara, può vantare infatti competenze di primo livello nell’ambito del Joint Strike Fighter, sia assemblando gli F-35 italiani e olandesi, sia realizzando diversi assetti alari.

IL RUOLO TURCO NEL PROGRAMMA…

Per ora, con un impegno previsto per 100 velivoli, la Turchia realizza diverse componenti per gli F-35 destinati alla propria Aeronautica e ad altri Paesi, compresi quelli americani. Nel caso venisse esclusa, tale produzione andrebbe riallocata, aprendo dunque possibilità di ulteriore lavoro per altri partner del programma. “Il dipartimento della Difesa ha avviato i passi necessari per garantire la pianificazione e la resilienza della catena di fornitura; fonti secondarie di approvvigionamento per le parti prodotte in Turchia sono in fase di valutazione”, ha fatto sapere il portavoce del Pentagono Charles E. Summers Jr.

…E L’OCCASIONE PER L’ITALIA

L’occasione per l’Italia è ghiotta, ma a due condizioni. Primo, occorre confermare l’impegno attuale per 90 velivoli, con il dossier nelle mani del premier Giuseppe Conte (che lo tratterà direttamente con Donald Trump) dopo la “valutazione tecnica” del dicastero della Difesa guidato da Elisabetta Trenta. Secondo, c’è bisogno di farsi trovare preparati nel proporre il sito di Cameri e le competenze acquisite dalla filiera (Pmi comprese) per la sostituzione della produzione turca. Lo stabilimento novarese appartiene al governo italiano ed è gestito da Leonardo con il supporto di un team di Lockheed Martin. Ne consegue l’esigenza di un impegno sistemico, che parta dalla volontà politica e passi per la capacità dell’industria di muoversi con un certo anticipo. In alternativa, l’attuale produzione turca potrebbe muoversi verso altre direzioni.

LE PAROLE DELL’AMBASCIATORE EISENBERG

Lo stesso spirito propositivo sembrerebbe tra l’altro necessario per vedere assemblati in Italia anche i caccia del Belgio, che lo scorso ottobre ha manifestato l’intenzione di acquistare 34 F-35. Lunedì, dal Centro studi americani di Roma, un’indicazione in tal senso è arrivata dall’ambasciatore degli Stati Uniti Lewis Eisenberg. “L’Italia e il sito allo stato dell’arte di Cameri – ha detto – sono nel cuore del programma Joint Strike Fighter”. Il velivolo, ha aggiunto, “rappresenta una tecnologia rivoluzionaria, e speriamo sinceramente che l’Italia possa avere vantaggi nel realizzarla”. Certo, nel caso di una revisione al ribasso degli attuali impegni, il nostro Paese, “come partner e non come semplice acquirente, rischierebbe di sprecare un’opportunità incredibile per rafforzare ulteriormente la propria industria della difesa e spingere in avanti la propria economia”.

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