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L’onda montante dell’energia rinnovabile è “inarrestabile” e coincide con il declino delle fonti fossili, che dovrebbero vedere il picco di domanda entro la fine di questo decennio. La strada per lo scenario zero emissioni nette al 2050 rimane aperta, ma sempre più in salita. Questa la conclusione, tagliata un po’ con l’accetta, che si può trarre dall’ultimo Global Energy Outlook dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), il rapporto di riferimento nel settore. La transizione verso l’energia pulita non è una questione di “se” ma di “quanto presto” e “prima è, meglio è per tutti noi”, ha dichiarato il direttore esecutivo Fatih Birol.

IL TRAMONTO DEL FOSSILE?

Uno sguardo più ravvicinato rivela dati inaspettati. Tra tutte, spicca in particolar modo la previsione sugli idrocarburi: sono gli stessi giorni in cui si viene a scoprire che le europee Shell e TotalEnergies hanno stipulato contratti di fornitura per il gas naturale oltre il 2050, e che le statunitensi ExxonMobil e Chevron hanno consolidato le proprie operazioni acquisendo rivali più piccole a 60 e 53 miliardi di dollari rispettivamente. Vale a dire: le aziende credono che a Ue e Usa, in prima linea per la decarbonizzazione, serviranno più idrocarburi rispetto alle promesse dei Green Deal.

Di diverso avviso l’Iea, secondo cui la crescita “fenomenale” di eolico e solare – che pure sta incontrando ostacoli – va di pari passo al rallentamento di asset che fanno uso di idrocarburi, dalle centrali energetiche alle auto con motore endotermico. L’agenzia prevede che entro il 2030 il numero di auto elettriche in circolazione globalmente sarà quasi 10 volte maggiore, e che le fonti rinnovabili rappresenteranno quasi la metà del mix energetico globale rispetto all’attuale 30%. Quest’anno gli investimenti nelle rinnovabili hanno surclassato quelli nelle fonti fossili e segnato un +40% dal 2020, sulla spinta della decarbonizzazione ma anche della sicurezza energetica che può garantire la diffusione del solare.

A conti fatti, il rapporto Iea sfida gli appelli dell’Opec sull’investire nel settore da qui al 2045 per evitare un’impennata dei prezzi dell’energia. “La fine dell’era della crescita per i combustibili fossili non significa la fine degli investimenti nei combustibili fossili, ma compromette le ragioni di qualsiasi aumento della spesa”, evidenzia l’agenzia. Sul breve termine, continua, i prezzi del petrolio potrebbero essere spinti molto più in alto dal conflitto Israele-Hamas – che potrebbe “sconvolgere nuovamente e profondamente i mercati petroliferi” come avvenne con la guerra del Kippur nel 1973, “poiché molti Paesi produttori di petrolio si trovano in quella regione”, ha detto Birol alla stampa.

TRA ASIA, SUD GLOBALE…

Naturalmente, le traiettorie dei Paesi più popolosi (e inquinanti) pesano molto sull’andamento generale. È il caso della Cina, dove il rallentamento della crescita economica ridurrà anche la domanda di combustibili fossili. Secondo l’Iea la seconda economia mondiale, nonché maggior consumatore di energia e Paese più inquinante al mondo, ha raggiunto un “punto di inflessione”, e la sua domanda totale di energia dovrebbe raggiungere il picco intorno al 2025. Aiuta, e molto, il fatto che la metà della nuova capacità globale in solare ed eolico sia aggiunta in Cina, destinazione di metà delle vendite di auto elettriche.

Tutto questo potrebbe comunque non bastare a limitare il riscaldamento globale 1,5 gradi, anche per via di un abbandono delle fonti fossili ancora troppo lento secondo le proiezioni Iea. “Sulla base delle politiche attuali, le emissioni globali resterebbero abbastanza elevate da far aumentare le temperature medie globali di circa 2,4 gradi in questo secolo”, rileva l’ente. Sarà essenziale fare in modo che l’espansione economica e demografica nelle aree emergenti – India in testa, Sudest asiatico e Africa – sia accompagnata da investimenti in energia decarbonizzata: il successo di questo esercizio determinerà quanto in fretta scenderanno le emissioni globali dopo il picco.

…E NUOVI RISCHI

Queste proiezioni chiamano in causa il ruolo cruciale che svolgeranno le materie prime critiche: i metalli e minerali che sottendono alla transizione ecologica, necessarie per le rinnovabili, l’infrastruttura per elettrificare l’elettrificabile, le batterie per stivare l’energia elettrica, le componenti digitali per gestire il tutto. E se da un lato solare ed eolico sono foriere di sicurezza energetica, dall’altro l’Ue è talmente dipendenti dall’importazione di materie prime critiche che continuano a comprarle in quantità dall’iper-sanzionata Russia, come rileva un’indagine di EUObserver.

Non è una novità che le autocrazie giganteggino nelle catene di valore dei materiali critici. Avendo accentrato la capacità di raffinazione, la stessa Cina la fa da padrona nei comparti più strategici, come quello del solare, con un monopolio di fatto sul polisilicio che serve per costruire i pannelli fotovoltaici. E questo la rende sia una potenziale minaccia per la traiettoria di decarbonizzazione occidentale, sia un attore di spicco per quanto riguarda la transizione degli altri Paesi.

Quelli dell’Occidente geopolitico si stanno già organizzando per ridurre la dipendenza da Pechino facendo sistema con Paesi like-minded e provando a soppiantare la presenza di Pechino nei Paesi di origine con accordi migliori di quelli cinesi, magari volti ad aumentare la capacità di raffinazione in loco. Ma nel breve e medio termine, anche le rinnovabili presentano elementi di rischio geopolitico. Non è un caso che anche il rapporto Iea sia predicato sulla cooperazione globale, su un “sistema di commercio internazionale basato su regole” e su innovazione e trasferimento tecnologico: pratiche a rischio in un’epoca di crescente assertività cinese e rivalità tra potenze.

Siamo nell’era delle rinnovabili? Il rapporto Iea e le traiettorie globali

L’Agenzia internazionale per l’energia smentisce l’Opec e prevede il picco di domanda degli idrocarburi entro il 2030, l’aumento “inarrestabile” delle rinnovabili e una strada in salita per l’obiettivo 1,5 gradi. Determinante la Cina, cruciale la traiettoria del Sud globale, ed evidenti le nuove dimensioni di rischio che accompagnano la transizione

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