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A margine di un incontro a Mosca, ieri l’Arabia Saudita e la Russia, i due maggiori produttori di petrolio del sistema dell’Opec+, hanno espresso preoccupazione per il calo della domanda che potrebbe portare a prezzi inferiori ai 40 dollari al barile, e per questo i ministri dell’Energia di entrambi i paesi si sarebbero impegnati per rinnovare l’accordo con cui tenere basse le produzioni, secondo quella che hanno definito “una visione comune sul mercato del greggio”.

LE PAURE RUSSE…

“Oggi ci sono grossi rischi di eccesso di offerta”, ha detto il russo Alexander Novak dopo la riunione della commissione intergovernativa dei due paesi: “Abbiamo convenuto che dobbiamo eseguire un’analisi più approfondita e vedere come si svolgeranno gli eventi a giugno”, quando i produttori dell’Opec+ dovranno prendere una decisione sul futuro dei tagli alle produzione. Secondo un accordo raggiunto a Vienna dal cartello del Golfo (l’Opec, appunto) e l’organizzazione dei produttori esterni, capitanati dalla Russia (a questo si deve quel “+”, ndr), a giugno le produzioni dovrebbero aumentare nuovamente dopo il rallentamento deciso a dicembre 2018. Ma secondo il ministro delle finanze russo, Anton Siluanov, senza un accordo su un nuovo rallentamento, si creeranno surplus che potrebbero portare il prezzo del greggio a scendere molto al di sotto della soglia critica dei 40 dollari.

… E LO SPIN

Mosca precisa da un po’ di tempo di essere meglio predisposta di Riad riguardo a misure di contenimento dei prezzi bassi, questione sottolineata nei giorni scorsi anche dal presidente Vladimir Putin (che però intendeva un intervallo attorno ai 60-65 dollari al barile), ma per buona parte è strategia contrattuale. L’economia russa è strettamente vincolata al costo del bene, e un abbassamento produrrebbe una notevole sofferenza. Il ministro dell’Energia saudita, Khalid al Falih, parlando al Forum economico internazionale di San Pietroburgo (Spief) al fianco dell’omologo russo si è detto ottimista sull’ipotesi del prolungamento – teoricamente per altri sei mesi – che potrebbe arrivare già a inizio luglio, quando l’Opec+ si sarà riunito a Vienna dopo il G20 di Osaka, da cui i due leader petroliferi trarranno parte delle considerazioni. Davanti al potenziale indebolimento della domanda prodotto dalle guerre commerciali globali, Riad – ha detto infatti al Falih alla Tass – non vuole che l’Opec aumenti la produzione per controbilanciare il declino delle produzioni di Venezuela, Iran e Libia (tre membri finora esentati dai tagli). Solitamente Riad e Mosca arrivano alle riunioni con gli altri attori con una linea condivisa da far avallare (non a caso, la sesta riunione della commissione intergovernativa è stata organizzata ieri, appena due settimane prima dell’appuntamento Opec+).

COMMERCIO, INTERESSI…

Il contatto sul campo petroliero tra Russia e Arabia Saudita è uno dei grandi temi della politica internazionale, perché si gioca su un doppio scenario. Il primo è quello geopolitico legato a commerci e infrastrutture energetiche: il colosso statale saudita Aramco, per esempio, sta esaminando progetti multipli in Russia, ha detto Al-Falih alla Tass, che includono l’Arctic LNG 2 Gas Project – nel quale Aramco è anche disposto a investimenti sul capitale – e altri con Gazprom e Rosneft. L’Arabia Saudita potrebbe anche essere interessata a una partecipazione nella quota capitale della petrolchimica Sibur Holding, società resa grande da Gennady Timchenko, oligarca che ha fatto una fortuna con il traffico di petrolio, descritto da Putin come uno dei suoi più intimi e messo sotto sanzioni post annessione della Crimea da parte degli Stati Uniti. La Sibur ha all’interno del suo proprietario anche il Silk and Road Fund: il fondo collegato al progetto geopolitico-infrastrutturale cinese “Nuova Via della Seta” ha il 10 per cento delle quote azionarie (tema nel tema: l’esposizione saudita alla Cina è uno degli elementi che potrebbe mettere in discussione l’alleanza Riad-Washington che con l’amministrazione Trump corre a gonfie vele; figurarsi l’asse interno che include anche la Russia, questione già vista sul campo del nucleare civile).

… E POLITICA

L’altro scenario che questo allineamento tra Riad e Mosca ha come sfondo riguarda gli Stati Uniti (ed è l’altro elemento su cui i sauditi potrebbero giocarsi l’alleanza con Washington, ndr). Donald Trump batte da tempo per una politica ribassista sul greggio. Apparentemente non sembrerebbe tutelare i suoi produttori – che estraendo dagli shale avrebbero bisogno di prezzi più alti, ma che la Casa Bianca compensa garantendo ritmi di produzione alti al punto che a maggio è stato battuto il record, con 12,5 milioni di barili al giorno, e i punta ai 13,5 entro dicembre 2019. Trump vuole prezzi bassi alla pompa, che è la più populista delle misure riguardo al petrolio, perché è quella di cui i cittadini risentono in modo più diretto. Anche per questo ha strappato all’Arabia Saudita la garanzia di coprire le quantità che il blocco sanzionatorio imposto contro l’Iran avrebbe eliminato dal mercato.

LA DIPLOMAZIA DEL PETROLIO

Riad ha accettato di far fronte alle necessità prodotte dalla politica con cui Washington vorrebbe portare a zero le esportazioni iraniane, perché la misura rientra – e forse è la più severa – nel sistema di massima pressione che gli americani hanno imposto alla Repubblica islamica; una politica aggressiva anti-Iran mossa anche (soprattutto?) di sponda con gli alleati sauditi, che vedono Teheran come un nemico esistenziale e geopolitico. Ora i sauditi dimostrano però di voler preservare i propri interessi giocando di sponda pure con Mosca (che è un alleato nervoso dell’Iran). Finora i sauditi hanno provato ad ascoltare Trump, ma la diplomazia del petrolio però è potentissima: non è un caso se ieri il ministro saudita al Falih abbia annunciato lui l’invito a Riad per Putin.

(Foto: Twitter, @Khalid_AlFalih, i ministri dell’energia di Russia e Arabia Saudita)

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