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Non si può crescere senza avere i conti in ordine. Serve Pil a due cifre, investimenti e posti di lavoro ma anche un bilancio in salute e il nostro non lo è. E così, nel giorno del vertice di governo a Palazzo Chigi tra il ministro Giovanni Tria, gli azionisti di governo Matteo Salvini e Luigi Di Maio e il premier Conte per capire se e come schivare la procedura di infrazione (qui l’intervista di ieri al deputato M5S, Antonio Zennaro), dalla nostra industria riunita a Palazzo Altieri, sede Abi, in occasione del convegno organizzato dal Messaggero, Obbligati a crescere, arriva un vero e proprio monito.

Nella Sala della Clemenza c’era praticamente il grosso del Pil italiano, accolto per l’occasione dal padrone di casa Antonio Patuelli: farmaceutica, energia, credito, assicurazioni e molto altro. Lucia Aleotti, a capo del gruppo farmaceutico fiorentino Menarini, tra i maggiori in Europa, Claudio Descalzi, numero uno di Eni, Carlo Cimbri ceo di Unipol, Carlo Messina, al vertice di Intesa e Marco Tronchetti Provera, alla guida di Pirelli. Tutti coordinati dall’ex premier Romano Prodi e introdotti dal direttore del quotidiano romano, Virman Cusenza mentre la conclusione del dibattito è stata affidata al ministro Tria. Fil rouge dei lavori, la scommessa italiana: il Paese può farcela, ha tutte le carte in regola. O quasi: prima ci sarebbero da mettere a posto i nostri conti.

OCCHIO ALL’EUROPA

Chi come Tronchetti Provera è a capo di un gruppo globale, sa bene che un’economia industrializzata e parte del G7 non può permettersi uno scontro frontale con l’Unione Europea, mercato da mezzo miliardi di individui. Per questo, prima di parlare di Pil, il manager ha messo in chiaro un concetto: la procedura di infrazione va evitata e l’accordo con l’Ue trovato. “Se si va a chiedere una ulteriore possibilità di sforamento di bilancio la situazione può diventare estremamente pericolosa. Personalmente sono fiducioso che l’Italia riesca a trovare in Europa un percorso per svilupparsi”.

Insomma, occhio a non tirare troppo la corda con la burocrazia europea. Sulla base di una ritrovata sintonia con l’Europa, si può tornare a pensare in grande. “L’Italia, in un mondo che sta cambiando può cogliere occasioni e possibilità e anche l’Europa è pronta a cambiare ma bisogna andare con proposte e progetti che si basano su investimenti e crescita. Oggi mi accorgo che mancano le grandi aziende e per questo il Paese sarà in grado di muoversi nello scenario con più flessibilità, creando però le condizioni. Se queste condizioni ci saranno il sistema italiano si può allargare al mercato asiatico con più flessibilità rispetto alle grandi aziende francesi e tedesche”.

L’ITALIA EVITI DI FARE A PUGNI CON BRUXELLES

Certamente più esplicito Messina, manager oggi a capo della prima banca italiana. Prima di pensare alla nostra economia e a come rilanciarla, bisogna aggiustare i nostri conti. Facendo essenzialmente due cose: evitare a tutti i costi la procedura di infrazione e abbassare al contempo il nostro enorme debito pubblico. “La procedura di infrazione va assolutamente evitata perché sarebbe un colpo che potrebbe mettere in grossissima difficoltà qualsiasi ragionamento sulle potenzialità di crescita del Paese: i grandi investitori internazionali trarrebbero le conseguenze di un Paese non affidabile. Chi ci governa deve fare in modo di evitare la procedura di infrazione“. Il messaggio di Messina è chiaro: se questo Paese vuole tornare protagonista non può certo permettersi che dall’estero smettano di comprare e sostenere il nostro debito pubblico.

IL PROBLEMA DEBITO

Il numero uno di Intesa ha affrontato anche l’altro tema, che poi è legato a doppio filo alla procedura di infrazione: la riduzione del nostro debito. Perché tra le accuse mosse da Bruxelles a Roma c’è proprio la mancata riduzione dello stock a partire dal 2017. Messina ha in questo senso attaccato duramente l’assenza di misute atte a tagliare il debito. “Oggi il nostro debito è sostenibile, quello che non puoi fare è accelerarne la crescita. Ma quello che è inaccettabile è che continua a crescere questo debito con un debito pubblico di questo genere sei condannato a diventare un paese di serie B”. E l’aver solo immaginato  il piano B ha fatto schizzare lo spread nonostante poi si sia detto ‘abbiamo scherzato’ e ‘lo avevamo in un cassetto’. A ottobre abbiamo detto che ce ne fregavamo della Commissione dopo aver detto che facevamo l’1,6% del deficit, proponendo il 2,4%, e creando una nuova rottura della fiducia dei creditori. Si è riusciti a riconquistare la fiducia attraverso l’accordo con la Commissione ed è chiaro che se ora non evitiamo la procedura lo spread si muoverà ancora”.

QUOTA 100 CHE ERRORE

Anche Carlo Cimbri, al vertice di Unipol, ha dato una sua personale lettura della situazione, prendendo come riferimento la questione della Quota 100, la riforma del sistema pensionistico targata Matteo Salvini. Anche nel caso dell’anticipo pensionistico non si sono fatti bene i conti, un po’ come accaduto sul deficit. “Sarebbe bello fare tante cose, ma nella realtà, nella vita e nel lavoro, si fa quello che ci si può permettere. Penso all’equilibrio del sistema previdenziale. Nel sistema c’è una base di gente che lavora per pagare le pensioni: se c’è crescita, aumenta la gente che lavora e che paga contributi e allora ci si può permettere di abbassare l’età pensionabile, ma se questo non c’è, non si può fare”. 

A CACCIA DI TECNOLOGIA

Il ceo di Eni Descalzi ha invece spostato l’attenzione sul tema delle tecnologie, che per Eni rappresentano il vero investimento di ogni azienda che vuole competere a livello globale e dunque dare il suo contributo al Pil. “La sicurezza energetica ha un lato geografico-geopolitico ma anche un lato tecnologico fondamentale. Il problema è che in Italia non abbiamo ancora un quadro legislativo che ci permette di prendere un rifiuto organico e trasformarlo in energia” ha detto Descalzi. “Le tecnologie che abbiamo sviluppato soffrono; abbiamo, ad esempio, una tecnologia tutta italiana di trasformazione dei rifiuti organici in oli combustibili ma tutte queste tecnologie devono essere seguite da un quadro legislativo”.

PHARMA CHIAMA GOVERNO

Ma come si può pensare di tornare a crescere in un Paese il cui governo fatica a dialogare non solo con l’Europa, ma talvolta anche con le sue stesse imprese? Un problema sollevato dalla vicepresidente del gruppo Menarini, Aleotti. “Come per gli altri settori industriali, c’è più difficoltà di dialogo con il governo attuale rispetto al passato, ed è un grande peccato perché il nostro settore ha enormi potenzialità. Il nostro è un settore davvero d’avanguardia ed è importantissimo che rimanga competitivo perché può dare una spinta significativa alla crescita”.

 

 

L'Italia deve tornare a crescere. Firmato Tronchetti, Aleotti, Messina, Cimbri e Descalzi

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