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Prosegue la polemica dentro il Pd mentre il Congresso di marzo si avvicina. Chi aveva sperato che l’assise potesse essere un momento di chiarezza su contenuti e futuro della più grande forza della sinistra italiana, è oggi disilluso. Permane la spada di Damocle della scissione di Renzi: ormai se ne parla diffusamente non come una eventualità ma come una certezza. Manca solo la data. Zingaretti sta radunando attorno alla sua candidatura tutti coloro che sperano ancora in una ripresa del partito, con un programma inclusivo che interpreta il Pd come la più grande forza del centrosinistra ma non l’unica. Non si tratta più del Partito della nazione, idea ormai naufragata, ma di una forza di sinistra che parla con altre forze sulla base dei valori costituzionali, europeisti e del lavoro.

Il presidente del Lazio vuole risanare la ferita aperta a sinistra, senza che ciò significhi reimbarcare i vecchi leader scissionisti. D’altro canto egli immagina che nella società vi siano o vi saranno altre forze, più piccole, liberaldemocratiche o progressiste, civiche o di emanazione cattolico-democratica o cattolico-sociale, con le quali il suo Pd dovrà confrontarsi in futuro. Il suo è un Pd che allarga lo sguardo e dialoga a vasto raggio dentro la società e dentro la politica, fino ad immaginare di farlo un domani con la parte del M5S che ora si sente alle strette dentro l’alleanza gialloverde. Dal canto suo Martina cerca di radunare attorno a sé ciò che resta della ormai vecchia (che paradosso!) classe dirigente renziana e dei suoi alleati, facendo leva sullo spirito “patriottico” di un Pd che si concepisce da solo sia a sinistra sia nel centrosinistra. Zingaretti non esclude alleanze; Martina in prima battuta sì, in favore di un Pd di stampo piuttosto blairiano. Ovviamente tutti sanno che per governare, alla fine, c’è bisogno quasi sempre di alleati, ma c’è chi li include nel suo programma e chi li subisce.

Qui si innesta la questione delle elezioni europee. Il processo in atto nel Pd è troppo lento perché possa giungere a completa maturazione per maggio. Alcuni dunque, in primis Carlo Calenda, stanno cercando di forzare la mano immaginando un Fronte Democratico che inglobi tutti, il Pd e altre forze più piccole iniziando con +Europa (una sorta di Uniti nell’Ulivo 2.0) allo scopo di andare alle Europee con un cartello degli “Europeisti” che si contrapponga frontalmente agli euroscettici sovranisti. La strategia sarebbe “Europa” vs “sovranismo”: un vero show down, muro contro muro nel Paese. Se il Pd non ci sta il Fronte necessita dell’apporto essenziale di +Europa che permetterebbe l’esenzione dalla raccolta di firme. Ma taluni nel partito di Emma Bonino pare non siano del tutto convinti, preferendo una +Europa che vada da sola ad affrontare il rischio della soglia del 4%. Solo un accordo diretto Bonino-Calenda può dirimere la questione. Ma c’è dell’altro. Secondo Calenda e i sostenitori del Fronte, quest’ultimo avrebbe anche il vantaggio di ridare quell’impulso “nuovo” di cui tutto il centrosinistra ha bisogno, sferzando il dibattitto attuale del Pd e dirottandolo verso un nuovo orizzonte. Costoro pensano che non ci sia più tanto da sperare nel Pd, aggrovigliato com’è nel suo intreccio di rancori e personalismi. A loro guarda una buona parte della società civile e dell’impresa, oltre che molti intellettuali.

Mediante la sua idea di “nuovo partito”, Renzi si avvicina a questi ultimi nel suo giudizio sul Pd ma non sulla strategia atta a superarlo: il Fronte Democratico gli pare essere troppo poco e giungere troppo tardi. Per l’ex premier lo sguardo va lanciato ben oltre e cioè verso i moderati di Forza Italia e in genere tutti gli scontenti delle varie destre e gli astensionisti progressisti e moderati (la vera maggioranza relativa dei sondaggi). Per far ciò ci vuole tempo: per questo Renzi non crede nello show down delle elezioni europee ma pensa al dopo, un lungo lavoro di tessitura politica (vedi i comitati civici) che crei alla fine una nuova forza che in mancanza di altro possiamo accostare alla République en Marche di Macron o a Ciudadanos anche se sarà certamente cosa diversa. Tuttavia le mosse di chi crede nel Fronte Democratico obbligano i futuri scissionisti del Pd a rivedere i loro piani e cioè a precipitare la scissione ben prima di quanto avrebbero pensato o voluto. Renzi non vuole il Fronte di Calenda perché, anche se esso si limitasse ad una lista di scopo per le elezioni europee, sa bene che una volta in campo la sua scissione ne sarebbe de facto oscurata. Cerca dunque di rallentarne i tempi o, in mancanza di ciò, accelera i suoi.

Mentre si svolge questo “game of thrones” attorno al Pd, girano e si radicano per il Paese i sostenitori di due forze politiche appena nate: Italia in Comune e Democrazia Solidale. Italia in Comune vuole condensare in una rappresentanza nazionale l’esperienza dei sindaci, veri e propri gestori del territorio e dei problemi della vita quotidiana dei cittadini. Noi di DemoS partiamo al contrario non dalle istituzioni (per quanto locali) ma dalla società organizzata, da ciò che di dinamico e attivo esiste nel sociale, nel civico, nell’ambientale e nel culturale, per dare un’ecumenica rappresentanza dal basso alla tradizione umanistica italiana, cattolica e laica, progressista e moderata.

A differenza di Italia in Comune, DemoS non auspica la fine del Pd o di Forza Italia né nuove scissioni del quadro attuale (tipiche di un’Italia faziosa), ma opta per un percorso inverso a quello classico: invece di discutere tra leader, sui giornali e nei circoli politici, occorre iniziare dal basso, dai territori, dalla società e dalla vita reale, con umiltà e facendo un lavoro paziente. La parola d’ordine di DemoS è “rammendare” una società strappata e lacerata, che anche la politica ha contribuito a deteriorare. Ogni strappo della nostra società crea nuove sofferenze e indebolisce il quadro democratico. In linguaggio politico tale scelta si traduce: iniziamo dalle elezioni amministrative, come ad esempio le regionali abruzzesi e sarde di febbraio prossimo. Pur molto europeisti, siamo consci di non poter partecipare alle europee se non all’interno di un’aggregazione più vasta.

Il nostro obiettivo ora è un altro: dalla “a” di Alzheimer alla “z” di zone interne montane, noi ci interessiamo della vita quotidiana dei cittadini, della loro capacità di resistenza di fronte alla crisi, tentando di dare voce e rappresentanza nazionale a questa vitalità e a questi problemi che nascono dal terreno. Un processo inverso: dal basso verso l’alto. Mettiamo l’accento in particolare non su temi politicistici ma su temi di contenuto: il sociale (incluso il lavoro) e l’ambiente. Ad esempio: umanizzare i nostri Pronto Soccorso per noi sarebbe già un grande successo, come sostenere le famiglie che hanno un malato di Sla o di autismo. Il nostro stile vuole essere quello della solidarietà: accettare cioè la sfida che per stare bene occorre affrontare i problemi di tutti, senza esclusione. Occorre l’espressione concreta del noi e non dei tanti io contrapposti. Crediamo che non vi sia una gerarchia di problemi e/o di sofferenze (così come non ne esistono tra gli esseri umani) ma che tutti abbiano lo stesso valore in uno spirito di unità solidale del Paese. Soprattutto sappiamo che per risolvere il “mio” problema devo risolvere anche quello del “mio vicino”, chiunque esso sia: la felicità non si taglia a pezzi. Non c’è felicità da soli. Vogliamo per la politica un nuovo stile, lontano dalle contrapposizioni urlate attuali, anche se siamo coscienti che è in atto in Italia una vera e propria strategia di “diseducazione civica”, fatta di rancori, odio, disprezzo e derisione, portata avanti in particolare dalla Lega.

Chi si applica oggi a suscitare la parte peggiore degli italiani, ne sarà travolto, come sempre nella storia. Non cadiamo nella trappola di tale diseducazione per non incorrere nel rischio di disumanizzazione: a questo gioco non ci stiamo. Purtroppo notiamo con preoccupazione che tale disumanizzazione sta contagiando molti nostri concittadini: questo è il problema più grave, più delle scelte economiche. Correre dietro alle paure ed esaltarle, oppure credere che esse siano ragionevoli, non serve ad arrestare tale deriva che provoca sempre più violenza. Non bisogna parlare alla paura: occorre far ragionare i paurosi; ma ciò può avvenire solo in un clima e contesto diversi. Finché dura il clima di oggi, molto poco è possibile. Per questo DemoS lavora sul clima umano, partendo dal basso, in una infaticabile ritessitura politica del clima umano solidale. Tra l’altro questa è la vera tradizione italiana. Innervare la politica di solidarietà: tale è il nostro contributo. In Italia ogni problema può essere risolto nella ragionevolezza, mediando e trovando soluzioni pragmatiche: non si può continuare con la “politica dei tifosi” e dei veti. Crediamo altresì che vi siano le regole comuni costituzionali che non possono essere mai travalicate né perdere senso: esse sono state scritte in anni di sangue, nella fatica e del dolore. Nessuno (proprio nessuno!) di noi contemporanei ha vissuto tempi o esperienze paragonabili a quelli, né può arrogarsi il diritto di giudicarli con boria. Gli uomini e le donne della Costituente avevano molte più ragioni di questa generazione per odiarsi e non capirsi, eppure si capirono. Gli italiani di oggi non possono essere da meno.

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