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In occasione del cinquantesimo anniversario della visita di San Paolo VI, nella sua storica Messa di notte di Natale all’Italsider nel 1968, il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, domenica 23 dicembre ha visitato lo stabilimento siderurgico di Taranto, l’ex Ilva, oggi nella sua nuova gestione ArcelorMittal. Nel suo discorso è stato messo l’accento su numerosi temi, di fondamentale rilevanza, quali ad esempio la salute e la sicurezza dei lavoratori, rispetto alle “pur legittime esigenze economiche”, oppure anche quello dell’emergenza ecologica. L’arcivescovo di Taranto monsignor Filippo Santoro, presidente della commissione Cei per il lavoro, ha spiegato meglio a Formiche.net l’importanza di questo evento per Taranto e per l’Italia tutta, considerato il movimento a cui si assiste negli ultimi mesi, in maniera crescente, all’interno del mondo cattolico sul versante dell’impegno politico.

Eccellenza, una visita di grande rilievo quella del cardinale Parolin a Taranto. Quali sono state le sue sensazioni e impressioni?

C’è stato un incontro di grande livello in cui Sua Eminenza ha auspicato che Taranto diventi un laboratorio dell’ecologia integrale di cui parla al mondo Papa Francesco. Un luogo in cui si consideri la dimensione della sostenibilità economica, purché non sia superiore alla stabilità sociale, che cioè la produzione non vada a detrimento dell’ambiente. Io ho spiegato che da sempre la nostra attenzione è stata quella di coniugare la difesa della salute, e quindi dell’ambiente, con la difesa dell’occupazione e del lavoro. Essendo qui da sette anni, questa visita suggella, con il sostegno del Santo Padre a cui tra l’altro ho parlato varie volte, la mia posizione di salvaguardare insieme sia la salute che il lavoro. È questa cioè la manifestazione più chiara di questi giorni: un sostegno alla salute, alla vita, all’ambiente e al lavoro stesso.

Il cardinale Parolin ha auspicato quindi la nascita di un “laboratorio”. Qual è il clima generale?

Con il nuovo proprietario adesso stiamo vivendo un momento di maggiore stabilità. Come se in tutti questi anni stavamo vivendo in un’incertezza angosciante, dove ci domandavamo continuamente se la fabbrica chiudesse o meno, per cui non c’era risposta né a un problema lavorativo né alla custodia del creato. Con la nuova proprietà invece c’è un punto di riferimento, un interlocutore chiaro con cui veniamo in contatto. Nel mio saluto l’ho detto chiaramente: avremo la possibilità di valutare le iniziative, di approvare i risultati positivi e di valutare gli errori qualora ce ne fossero. Ora c’è un riferimento preciso con cui dialogare, manifestare apprezzamenti quando lavora bene e critiche se lavora male. Ma il tema importante è che la vita dell’azienda, la sicurezza dell’impresa, è insuperabile rispetto al territorio che la ospita. L’obiettivo di questa visita è stato quello di dare attenzione al rapporto con l’ambiente e con la città, due cose che dai Riva sono state ignorate.

Un punto centrale del discorso è stato, ricordando Paolo VI, che “l’uomo vale più della macchina e della sua produzione”, e che “quel richiamo al rispetto della dignità del lavoratore vale ancora oggi”. C’è bisogno di rimettere al centro della politica e dell’economia questi valori?

Certamente c’è bisogno di rimettere al centro il valore della persona prima di quello della produzione, la qualità dei rapporti tra i lavoratori, del contributo prezioso che danno all’azienda, della qualità della vita nel lavoro. Sono tutti aspetti che Paolo VI al suo tempo ha messo in evidenza, e la sua venuta a Taranto nel ’68 è stato un gesto straordinario e profetico. Oggi con Papa Francesco si parla di Chiesa in uscita, e quel gesto lì è stato proprio un gesto straordinario di uscita: il Papa che lascia il Vaticano, con tutta la sua organizzazione liturgica, di incensi, della Basilica di San Pietro, per venire in un’industria siderurgica. Un gesto di vicinanza della Chiesa al mondo moderno e contemporaneo, e un gesto di dialogo profondo con il mondo del lavoro. Facendo tesoro di quella lezione, come Chiesa ci sentiamo di dover riprendere il tema del lavoro, e quindi del mantenimento dell’occupazione, ma soprattutto della dignità del lavoro, declinandolo con la cura della casa comune, l’attenzione al creato.

Ci fa qualche esempio di attività che avete messo in pratica a Taranto?

Nella parrocchia di Gesù Divin Lavoratore, il cui parroco è padre Nicola, il cappellano dell’azienda, stiamo già dando vita a un’esperienza che ha l’obiettivo di sperimentare procedure per intercettare in tempi rapidi segnali importanti che possano prevenire l’insorgenza di malattie polmonari. Un’indagine accurata che riconosce se sono in corso malattie polmonare non ancora evidenziate, che viene condotta da alcuni medici dell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo. A differenza delle attuali cure ospedaliere che intervengono quando le malattie sono già insorte, o sono in stato avanzato. E appena ne ho parlato sia all’Ad di AncelorMittal sia al presidente della regione Michele Emiliano, questi mi hanno subito risposto di essere d’accordo nel fare una rete di questo gruppo di medici, assieme alla proprietà e con il centro oncologico dell’Ospedale Giuseppe Moscati. È un’iniziativa della nostra diocesi, perché da tempo diciamo che è necessario che la fabbrica faccia prevenzione.

Eppure il nostro Paese non riesce ad uscire da una situazione economica molto dura. Quali sono secondo lei, a otto mesi, i rapporti tra governo e mondo cattolico? E nello stesso momento le chiedo ancora, partendo dal suo punto di osservazione di vescovo, quali sono le emergenze del paese?

Da presidente del comitato organizzatore delle Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, posso dire che noi avevamo diversi contatti con il governo anteriore e anche con l’opposizione. Adesso però c’è come una mancata definizione di quali siano i nostri punti di riferimento, con cui dialogare per presentare proposte come quelle fatte nella Settimana Sociale di Cagliari, che aveva come tema il lavoro. Però allo stesso tempo vedo che c’è molto fermento nel mondo cattolico, con tante iniziative che tendono, non dico a ricostituire il partito cattolico, ma a mettere insieme una rete di contatti. Ci sono tante iniziative, una che fa capo al vescovo emerito di Prato, monsignor Gastone Simoni, un’altra intorno ai cent’anni del manifesto Liberi e forti, e poi altre ancora, ad esempio che fanno capo al Rinnovamento nello Spirito Santo (qui, qui, qui e qui alcuni approfondimenti di Formiche.net, ndr).

Numerose e diverse esperienze da mettere in rete.

C’è come un fermento e, anche come Commissione episcopale per i problemi sociali del lavoro, è molto interessante. Sono tutte iniziative che indicano la necessità di una presenza nella politica, che sia incisiva. Certo, la discussione va in una direzione diversa da un partito unico. Può anche essere che qualcuno lo voglia fare, però cresce l’idea che l’esperienza della fede debba avere un’incidenza qualificante sul problema del lavoro, dei migranti, dell’educazione, sulla questione della famiglia, della pace. Tutti problemi su cui noi possiamo dare un contributo prezioso. A partire dalla ricchezza della concezione cattolica che mette al centro la persona umana, il bene comune, la solidarietà e la sussidiarietà. È un fermento che sta maturando e che può dare frutti positivi.

Nei giorni scorsi l’onorevole Gianfranco Rotondi a Formiche.net ha addirittura parlato di voler riportare il simbolo della Dc alle prossime elezioni. In ogni caso, anche sentendo i numerosi appelli rilanciati, possiamo dire che qualcosa si muove.

Qualcuno spinge nella direzione del partito, a me sembra più importante creare un’area che intervenga sui problemi più rilevanti della gente, come il lavoro. O dell’educazione, della pace, della vita, della natalità, visto che siamo in un inverno generativo. Un’area che faccia maturare certi temi e che sia un interlocutore, come sta facendo in una certa maniera il Forum delle Famiglie. A un raggio più ampio.

Qualcuno parlava di un forum promosso direttamente dalla Cei.

Certo, noi già abbiamo la Commissione episcopale per i problemi del lavoro che dovrebbe accogliere e valorizzare tutto questo fermento che c’è in atto. Non dico coordinarlo, ma almeno far dialogare tra loro tutte queste varie esperienze presenti.

Una sorta di nuova Opera dei congressi?

La prospettiva in cui muoversi è tutta da costruire, se vuole essere incisiva e concreta. Di certo non si può più accettare la diaspora, pura e semplice, perché ci si disperde e questa porta realmente all’irrilevanza nel mondo politico. Ci vuole qualcosa non perché ce la dobbiamo inventare, ma perché a partire dall’esperienza della fede che viviamo, e dell’unità che viviamo come Chiesa, è importante essere portatori di una sensibilità diversa. Per dire che non si metta l’economia al centro, il guadagno, il profitto, la banalizzazione degli affetti e dell’umano. Ma che metta proprio la dignità della persona e la capacità di dialogare e costruire, che ci sia una visione della famiglia capace di costruire qualcosa di nuovo. Sono tutti punti che possono contribuire positivamente, in forma laica, alla vita della società.

Puntuali come ormai da vari anni, tuttavia, ripartono le polemiche incresciose sul presepe. Stavolta però anche nella Chiesa emergono posizioni abbastanza inedite. Senza entrare nei casi specifici, si è letto di sacerdoti che invitano a non fare il presepe o che chiudono messa in segno di protesta. E allo stesso tempo ci sono politici che usano simboli religiosi per accreditarsi. Che sta succedendo?

Il compito che noi abbiamo nel Natale è di vivere in prima persona, nelle nostre comunità, l’irruzione del Signore che capovolge tutti i criteri del mondo, un’irruzione che porta dentro il valore della semplicità. Faccio un esempio: quando nasce il figlio, non so, di William e Kate, tutte le televisioni e le radio del mondo sono polarizzate. Nasce Gesù e chi c’è? Nessuno. Allora impariamo la lezione, che viene da Betlemme, della semplicità, dell’attenzione ai poveri, di Dio che viene tra noi: è tutta un’altra cosa, e non facciamo le polemiche sul presepe. Se c’è la bellezza della fede si farà anche il presepe come segno, ma se manca la fede che facciamo, segni vuoti? Il segno fa parlare una vita, una pienezza, il dono inestimabile di Dio che viene tra noi. E che ci dona la sua compagnia, che ci fa fratelli e che ci rende aperti ad accogliere chi ha più bisogno. Questa è la bellezza del Natale, il dono incomparabile del Signore che viene tra noi.

Ci fa un augurio di Natale Eccelenza?

Che per tutti quanti sia un momento in cui spalanchiamo il cuore a qualcosa di più grande delle preoccupazioni di ogni momento, all’amore del mistero che si fa carne, della misericordia che ci raggiunge. Vale per tutti ma particolarmente per noi, nel linguaggio dell’accoglienza e dell’attenzione al mistero che ci raggiunge e che ci fa fratelli. Spalancare il cuore, con questa apertura che significa valorizzazione di ogni persona, qualsiasi sia la sua razza, cultura e religione, come ha fatto Dio, che nel silenzio totale di ogni forma di potere ha portato la cosa più importante: la sua presenza. E la sua salvezza.

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