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La Macedonia e la Grecia si apprestano a vivere una settimana di tensione e a ben vedere lo dovremmo fare anche noi europei. Sembra strano che i destini del Vecchio continente possano dipendere da una ex Repubblica yugoslava, ma attorno alla battaglia parlamentare sul nuovo nome della Macedonia girano equilibri geopolitici ben più grandi del piccolo Parlamento di Skopje.

Entro il 15 gennaio, i 150 parlamentari che lo compongono dovranno votare se accettare il nuovo nome, Repubblica di Macedonia del Nord, oppure rispedirlo al mittente, ossia al premier socialdemocratico macedone, Zoran Zaev e a quello ellenico, Alexis Tsipras. Se passa il sì, si chiuderà un contenzioso toponomastico, politico e culturale che dura da decenni e la Macedonia avvierà il suo cammino verso la Nato e l’Unione Europea. Se passa il no, uno probabilmente due Paesi andranno alle elezioni anticipate.

Il primo, con poca fantasia, è la Macedonia, dove il premier Zaev potrebbe essere costretto alle dimissioni. A quel punto, entro l’anno, si voterà sia per il rinnovo del Parlamento sia per il nuovo Presidente della Repubblica, con i conservatori anti Ue e filo russi che premono per il controllo del Paese. Il secondo è la Grecia, con il premier Tsipras che deve fare approvare l’accordo anche dal suo Parlamento con una maggioranza che non regge. Il giovane leader, se Skopje fallisce, rischia un maxi election day il 26 maggio in cui il popolo ellenico voterà per il Parlamento europeo, le amministrative e le politiche. Una giornata che potrebbe trasformare Tsipras in un trionfatore o, più probabilmente, determinarne un fiasco clamoroso.

Come ogni voto cruciale che si rispetti, i numeri per vincere Zaev non li ha e deve andarli a elemosinare al partito di centrodestra Vmro-Dpmne, proprio quello che lo vorrebbe politicamente sconfitto. In realtà, la formazione, conservatrice e sovranista, potrebbe anche accettare, almeno in parte, di appoggiare l’esecutivo socialdemocratico, ma a un prezzo molto alto: l’amnistia per decine di militanti politici che nell’aprile del 2017 tentarono l’assalto al Parlamento di Skopje. Zaev, quindi, rischia di vedere la riforma costituzionale approvata, ma subito dopo il caos esplodere nelle strade della capitale, dove già nei giorni scorsi in migliaia hanno manifestato contro l’accordo.

A osservare gli sviluppi, nemmeno tanto da fuori, ci sono Bruxelles e Mosca. La prima, dopo anni di indecisione, sembra aver deciso di portare avanti una precisa agenda balcanica. La seconda, che proprio nella Macedonia ha un suo Paese chiave, vorrebbe che le cose rimanessero così e, secondo gli osservatori internazionali, sta cercando anche di influenzare la politica e l’opinione pubblica locale per raggiungere questo scopo.

I Balcani, insomma, da sempre territorio cerniera e terra di scontro fra due mondi, con le loro tensioni mai sopite, rischiano di tornare e con forza, al centro dell’agenda internazionale sulla quale l’Europa, ancora una volta, ha dimostrato di arrivare in ritardo.

Il destino della Macedonia (e non solo) è appeso al suo nome

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