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La risposta del governo italiano, ai rilievi mossi dalla Commissione europea sull’innegabile disallineamento dei conti 2018, ove si prevedeva una diminuzione del debito pubblico e s’è dovuto contabilizzare un aumento, lascia da parte l’abracadabra e imbocca un più realistico: è vero, ma rimedieremo. Ovvero l’esatto contrario di quanto detto dal vice presidente del Consiglio e vincitore delle elezioni europee, Matteo Salvini. Qualche dettaglio aiuta a capire che gioco si sta giocando.

Le politiche di welfare (sarebbe meglio dire assistenzialiste) che abbiamo varato, quota 100 e reddito di cittadinanza, dicono dal governo, stanno costando meno del previsto. I soldi risparmiati andranno a ridurre il deficit, inoltre le scelte fiscali (leggi “flat”, qualsiasi cosa significhi nell’angloitaliano di Nando Moriconi) non avverranno in deficit, quindi sì: abbiamo sforato, ma tapperemo. La cosa più importante si nasconde in un particolare: come prevedevamo si tira fuori il fatto che, anche nella spesa 2018, ha pesato l’aumento dei tassi d’interesse, naturalmente tacendo che era stato provocato dagli spropositi verbali su strologanti piani “b”, ma aggiungono il passaggio più significativo: quei tassi caleranno, grazie al fatto che “il programma di bilancio sarà finalizzato in accordo con la Commissione europea”.

È chiaro? Non solo il governo in carica non ha in animo di sfondare nulla, ma ritiene, ragionevolmente, che la spesa per il servizio del debito pubblico potrà calare in ragione del fatto che le politiche di bilancio saranno avallate e festeggiate dalla Commissione.

Cosa ha questo a che vedere con le cose dette da Salvini? Nulla. Sembra quasi che si sia scelto d’essere razionali negli scritti, salvo poi spararle grosse in orale. Questo, però, può sembrare furbo, ma rischia d’essere ottuso assai, perché da una parte ti becchi i tagli e resta del tutto impregiudicata la dimensione della manovra a fine anno, dall’altra si tengono in fibrillazione i mercati e restiamo non solo con lo spread al triplo della Spagna e più del doppio del Portogallo, ma anche i titoli a 5 anni che destano meno fiducia di quelli greci.

A questo si aggiunga la correzione Istat sul pil 2019, praticamente inchiodato a zero. Può darsi sia elettrizzante vivere sempre in campagna elettorale, prima o dopo, però, ci si accorgerà che è costoso e infruttuoso al tempo stesso.

PS. Pubblicate non solo alcune anticipazioni, ma direttamente copia della lettera, giungono gli strepitii dei pentastellati, che dicono di non saperne nulla ed essere contro i tagli al welfare. Peccato che non ci siano, trattandosi della presa d’atto che i due provvedimenti, al momento, costano meno del previsto. Ma la cosa curiosa è che protestano loro, che qualche ora addietro sostenevano la necessità di non andare a fare a cornate con i vincoli di bilancio, e tace chi ne annunciava la demolizione. Forse perché i secondi sono stati convocati per concordare mentre i primi erano impegnati a riconfermare la loro piena fiducia in Luigi Di Maio capo. Ora sanno anche il perché. In ogni caso l’accordo c’è, sul durare altri quattro anni. Speriamo di riuscirci anche noi.

Resta senza firma la lettera con cui l'Italia dà ragione all'Europa sui conti

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