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Come nella favola di Andersen, Greta sta gridando che il “Re è nudo”. Greta ha il grande merito di avere dato rilievo alla distanza tra le “parole e i fatti” delle politiche climatiche che fino dagli anni ’90 sono state oggetto di infinite riunioni internazionali, direttive europee e leggi nazionali.

Le giovani generazioni mettono in piazza l’angoscia per un futuro che è stato descritto e previsto già nel 1990, quando George Bush convocò a Washington una conferenza internazionale sul Global Change. Poi abbiamo avuto la Convenzione sul Clima nel 1992, il Protocollo di Kyoto nel 1997, l’Accordo di Parigi del 2015 : sempre con l’obiettivo di ridurre le emissioni di anidride carbonica, ovvero il consumo di combustibili fossili, per contenere l’aumento della temperatura media entro 2°C.

Ma, nonostante il significativo sviluppo delle fonti rinnovabili e l’aumento dell’impiego di gas naturale per la produzione di energia – in particolare in Cina, Europa e Usa – i consumi globali di carbone e olio hanno continuato a crescere negli ultimi 25 anni.

Di conseguenza le emissioni continuano a crescere, e la concentrazione in atmosfera di CO2 ha superato la soglia “critica” di 400 parti per milione. E insieme con la CO2 cresce la temperatura, con effetti sempre più evidenti sullo scioglimento dei ghiacci, il cambiamento dei regimi di pioggia e i lunghi periodi di siccità nelle zone temperate, l’aumento del livello dei mari…

Le piazze dei giovani chiedono ai governi ed alle imprese di invertire la rotta delle politiche energetiche, perché “non c’è più tempo” : e purtroppo non è retorica.
Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia l’accordo di Parigi avrebbe richiesto e richiederebbe, entro il 2040, una riduzione di oltre il 50% dei consumi globali di carbone e di almeno il 30% di quelli dell’olio combustibile. E tutto questo a fronte di un atteso aumento del 35% dei consumi di energia nei prossimi 20 anni, soprattutto in India, Cina, Africa e Medio Oriente. Una sfida senza precedenti, che richiederebbe politiche e misure concordate e coordinate a livello globale.

È dunque necessario riprendere con urgenza il dialogo multilaterale sul clima, l’unico che può assicurare accordi per misure capaci di incidere sul sistema energetico globale. La protezione del clima è l’investimento prioritario sul futuro, e dovrebbe anche essere una chiave per le politiche e gli accordi commerciali.

Le misure possibili sono già “sul tavolo” da tempo:
– l’applicazione a livello globale di una “carbon tax” progressiva sul contenuto di carbonio dei combustibili fossili (maggiore per il carbone e l’olio combustibile, minore per il gas naturale);
– l’eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili;
– l’impiego del gas come “combustibile di transizione” per sostituire carbone e olio nel breve periodo;
– la realizzazione delle infrastrutture di supporto alle fonti rinnovabili, tra le quali l’interconnessione elettrica globale proposta dalla Cina – già considerata come soluzione fattibile e vantaggiosa dal Joint Research Center della Commissione Europea – che consentirebbe l’impiego di tutta l’energia prodotta nel pianeta dalle fonti rinnovabili con la sostituzione di almeno l’80% dei combustibili fossili entro il 2050.

Grazie Greta.

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