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Inflazione record, economia in forte ribasso, malumori popolari e rischi legati al caso petrolio. Il Fondo Monetario Internazionale apre ufficialmente “il dossier Iran”, con la proiezione che è anticamera di fatto allo spettro recessione. I dati giungono dopo le sanzioni americane che sono state revocate in base all’accordo nucleare del 2015, ma reintrodotte nel novembre scorso, cui si sono sommate le nuove. L’economia iraniana è calata del 3,9% nel 2018, secondo l’FMI, che prevede per il 2019 una riduzione del 6%. E Hezbollah pensa al fundraising.

QUI FMI

Punto di partenza le nuove sanzioni Usa. Di fatto hanno avuto l’immediato effetto di stoppare almeno 10 miliardi di dollari di introiti petroliferi a Teheran, con la valuta iraniana che nel solo 2018 ha perso oltre il 60%. L’impatto delle sanzioni sull’economia iraniana quindi sta producendo in toto i propri effetti, con anche una contrazione nella crescita per quegli esportatori di petrolio non aderenti al Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC). Sullo sfondo la previsione che la crescita per gli esportatori di petrolio calerà leggermente nel 2019 allo 0,4 percento, dallo 0,6 percento dell’anno precedente. Per i paesi importatori di petrolio della regione, invece, la crescita dovrebbe rallentare, passando dal 4,2% nel 2018 a un 3,6% previsto nel 2019. Tuttavia, si prevede che tale cifra rimbalzi al 4,2% dal 2020 al 2023.

PROSPETTIVE

Come osservato alla Cnbc da Jihad Azour, direttore del Medio Oriente e dell’Asia centrale dell’FMI, gli sviluppi globali stanno influenzando le prospettive per quest’anno, “vale a dire il rallentamento della crescita soprattutto sul commercio, la volatilità del prezzo del petrolio, nonché le condizioni globali di finanziamento”.

Gli elementi di criticità sono contenuti nell’Economic Outlook regionale curato dal dipartimento del Medio Oriente e dell’Asia centrale dell’FMI, in cui si legge che per i paesi importatori di petrolio dove il debito è elevato, è molto importante affrontarlo e ridurre il livello di deficit. Solo quella strategia secondo Azour permetterà poi di ridurre l’onere del debito rispetto al Pil.

QUI TEHERAN

Connessa alla questione prettamente economica è quella sociale, con il malessere interno in crescita esponenziale. Secondo il Fmi la difficoltà risiede anche nel compito che attende la politica, ovvero garantire la macro-stabilità al paese e affrontare al contempo le sfide di crescita a medio termine.

La difficoltà di questa azione sta tutta nell’indice di malcontento sociale rilevato dal Fmi, secondo cui negli ultimi 18 mesi l’indice che calcola la percentuale di articoli sui media che trattano termini proteste, dimostrazioni e altre forme di disordini sociali, ha raggiunto i massimi pluriennali in alcuni paesi come l’Iran.

HEZBOLLAH

Quali dunque le prime conseguenze? Innanzitutto la difficoltà dei cittadini di reperire beni primari come cibo e medicine. Un problema che si riverbera quindi sulle alternative, spesso illegali. In secondo luogo c’è un effetto anche per Hezbollah, sostenuto dall’Iran. Il gruppo sciita libanese e partito politico, definito dagli Usa un’organizzazione terrorista, ha fatto esplicite richieste di donazioni proprio perché in apnea. Lo ha detto chiaramente il numero uno Hassan Nasrallah alcune settimane fa che occorre “sostegno pubblico”. Hezbollah, dunque, a caccia di contributi che fondi Usa stimano in 700 milioni di dollari annui.

L’annuncio degli Stati Uniti di non rinnovare le sanzioni consentendo ad un numero limitato di paesi di acquistare quantità considerevoli di greggio dall’Iran, faceva parte della sua idea di ridurre l’influenza della Repubblica Islamica in tutto il Medio Oriente, dalla Siria allo Yemen.

RYAD

In terzo luogo, nonostante le prospettive economiche negative per l’Iran, Azour ha osservato che ci sono poche possibilità che il contagio si diffonda nel resto della regione, con un velato riferimento a Ryad. Qui il surplus di bilancio del primo trimestre è dovuto a un trasferimento eccezionale che ha portato direttamente a un aumento delle entrate. Sul punto il Fmi ha osservato che il deficit di bilancio saudita potrebbe raggiungere il 7,9 per cento quest’anno, partendo dal presupposto che i prezzi del petrolio sarebbero inferiori nel 2019 rispetto alla media dell’anno scorso.

twitter@FDepalo

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