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Partiamo dai numeri, cioè dalla realtà. In una classifica europea che mettesse in relazione il numero dei parlamentari con la popolazione di ogni Stato membro, l’Italia si collocherebbe al 22º posto. Ventiduesima su 28. Almeno in questo, dunque, non rappresentiamo un’anomalia assoluta. Non siamo, come spesso accade, il fanalino di coda: dopo di noi troviamo altri 6 stati. Naturalmente, ciò non esclude che possa essere opportuno ridurre il numero dei parlamentari. Del resto, si tratta di un dibattito tutt’altro che inedito. Il tema fu per la prima volta posto all’attenzione del Parlamento italiano nel 1983, ai tempi della commissione per la riforma della Costituzione presieduta dal liberale Aldo Bozzi. Da allora se ne è parlato più volte. Se n’é parlato durante i lavori della commissione IottiDe Mita nel ‘93, se n’è parlato durante i lavori della bicamerale D’Alema nel ‘97, se ne parlava nel corpo della riforma scritta dal centrodestra e respinta dagli italiani con il referendum del 2006 così come nella riforma BoschiRenzi che subì lo stesso destino nel 2016.

Non stupisce, dunque, che la questione sia tornata ad animare il dibattito parlamentare. Tra i precedenti che ho citato e il disegno di legge costituzionale di cui discutiamo oggi, però, c’è una differenza. Una differenza sostanziale. In tutti gli altri casi la riduzione del numero dei parlamentari era un elemento, per giunta marginale, nel quadro di una più ampia e complessiva riforma dello Stato. Nel disegno di legge costituzionale in oggetto non c’è, invece, altro. Si propone di tagliare il numero dei parlamentari e basta. E perché lo si propone? Lo si propone per rendere più forte e incisiva l’azione politica? Lo si propone per garantire maggiore efficacia ed efficienza al Parlamento? Lo si propone, in sostanza, per dare vita al principio, oggi fortunatamente tornato di moda, del primato della politica? No, la logica è esattamente opposta. La riduzione del numero dei parlamentari è uno schiaffo alla politica, perché viene giustificata unicamente dal punto di vista economico. Tagliare i costi, tagliare i cosiddetti privilegi. Siamo, ancora, e come sempre, al dagli alla casta. Lo stesso errore, lo stesso miope calcolo che fece l’allora premier Matteo Renzi quando intese accreditare la propria riforma costituzionale. Non una riforma dello Stato nell’interesse dello Stato, ma un colpo alla casta nell’interesse, presunto, del popolo. Non un modo per rendere più efficace il Parlamento, ma un modo per risparmiare, udite udite, “un miliardo”. In queste ore Emmanuel Macron in Francia ha imboccato la medesima strada.

Ebbene, in uno Stato che ogni anno spende oltre 800 miliardi di euro, considero incongruo, oltre che pericoloso, pensare di realizzare dei risparmi proprio a partire dalle istituzioni, intervenendo su quegli organismi costituzionalmente garantiti da cui discende la qualità della nostra democrazia.

Se credete che questi sistemi possano servire per colmare il vuoto, che c’è, e che sarebbe sciocco negare, tra le istituzioni e i cittadini, vi illudete. Se credete che riducendo la politica a una questione di crimini, denari e privilegi si possa riconnetterla con l’opinione pubblica, vi sbagliate. Così svilite la politica, così offendete le istituzioni. Così risvegliata la Bestia dell’antipolitica, e se aveste preso in mano almeno un libro di storia sapreste che la Bestia non avrà pace finché non avrà sbranato anche voi.

È difficile, per chi osserva, non inserire questo vostro disegno di legge in un progetto più generale. Il ministro Fraccaro, del resto, non ne fa mistero. Il vostro fine non è rendere più efficienti le istituzioni e credibile la politica, il vostro fine è demolire le istituzioni e annichilire la politica. È questo il senso della vostra proposta di referendum propositivo. Basteranno 500mila firme per delegittimare il voto, ripeto, il voto, di milioni di elettori che hanno espresso una propria rappresentanza parlamentare. Il Parlamento, semmai il vostro disegno dovesse realizzarsi, non avrebbe più alcuna funzione. Sarebbe ostaggio e mercé delle lobby, che con una spesa tutto sommato modesta e un sapiente uso dei social riuscirebbero a far passare leggi che mai sarebbero approvate da un Parlamento nel pieno delle proprie funzioni. Faccio un esempio. Personalmente, sono più che favorevole alla vostra idea di legittima difesa, ma sono contrario alla liberalizzazione della vendita delle armi. È però evidente che, magari sulla scorta delle emozioni scatenate da un fatto di cronaca nera, un qualsiasi produttore della Val Trompia potrebbe con estrema facilità far passare una legge per liberalizzare la vendita delle armi da fuoco. E la lobby del tabacco, e quella del gioco d’azzardo, e gli interessi dei colossi del web, di cui con tutta evidenza buona parte di voi sono gli umili servitori… Davvero volete mettere la Repubblica italiana al servizio dei potentati? Davvero volete annichilire la politica per ridurre il Parlamento al luogo in cui si ratificano decisioni prese altrove, prese da pochi, prese unicamente sulla spinta di interessi organizzati?

Fermatevi, vi prego. Fermatevi per senso dello Stato, e se non avete senso dello Stato fermatevi per istinto di sopravvivenza. Riflettete. Se il referendum propositivo così come l’avete pensato diventasse legge, i primi a pagarne le conseguenze sareste, infatti, voi. Pensate che per Forza Italia sarebbe difficile raccogliere 500mila firme a favore della Tav o della Flat Tax? E che fine farebbe, diviso com’è, il vostro governo se questi due referendum passassero?

Riflettete, colleghi senatori di maggioranza. Vi prego di riflettere sulle conseguenze delle vostre scelte.

Lo scorso mercoledì, in quest’aula, il capogruppo della Lega, il senatore Romeo, ha difeso le prerogative della politica contro lo strapotere della Ragioneria generale dello Stato. E non è stato da meno il capogruppo del Movimento 5 Stelle, Stefano Patuanelli. Bene, si è trattato di parole importanti, che hanno toccato un tema decisivo. E lo dice uno a cui il primato della politica fu spiegato da un signore che si chiamava Francesco Cossiga: un politico di professione, uno che quando scriveva la parola politica la scriveva con la P maiuscola. Ma che credibilità possono avere quelle vostre parole a fronte di misure del genere? Che senso ha continuare ad invocare il primato della politica e l’interesse dello Stato e al tempo stesso raccontando la politica come una questione criminale, fatta solo di bassi interessi e di presunti privilegi?

Intendiamoci, non siete i primi a non sarete gli ultimi a far leva sul risentimento popolare nei confronti dei politici. Ma i politici oggi siete voi. Siete voi il governo, siete voi il potere. Siete voi i responsabili ultimi del bene comune.

Volete ridurre il numero dei parlamentari riducendo di conseguenza le occasioni di contatto tra eletti ed elettori, tra territori e Parlamento? Bene, ma a condizione che si riformi contestualmente lo Stato, e quel vuoto di rappresentanza venga colmato introducendo l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, che la si faccia finita con l’autolesionistica campagna anticasta e che si restituisca di conseguenza alla politica l’onore che, per colpa di alcuni politici di professione e di molti aspiranti tali, le è stato tolto.

Se non accetterete la sfida, vorrà dire che anche questo vostro disegno di legge costituzionale è ispirato unicamente dalla necessità di guadagnare qualche consenso in vista delle elezioni europee di maggio a fronte di una politica economica fallimentare e di misure che, come il reddito di cittadinanza e quota cento, finiranno per deludere più elettori di quanti non ne soddisferanno. Voi disarticolate lo Stato, ledete le istituzioni e delegittimate la politica per un pugno di voti. Il vostro cinismo sconcerta, al vostro cinismo non intendo sottostare.

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La riduzione del numero dei parlamentari è uno schiaffo alla politica. L'opinione di Cangini

Di Andrea Cangini

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