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Gli Emirati Arabi Uniti hanno definito un quadro di investimenti decennale da 1.400 miliardi di dollari negli Stati Uniti. Sono 1,4 Trillion, ossia una cifra enorme, storica (per confronto: la metà dell’intero Pil italiano), che evidentemente si basa su una grossa fiducia nelle politiche che Donald Trump e la sua amministrazione porteranno avanti, e allo stesso tempo intercetta quella visione transazionale che caratterizza il presidente, e la leadership emiratina di Mohammed bin Zayed dimostra di esserne ben consapevole.

A rendere noto il numero gigantesco è un funzionario della Casa Bianca, che ha tenuto un briefing con un giornalisti del cosiddetto “pool” che segue la presidenza precisando che l’accordo è stato formalizzato dopo un incontro tra lo stesso Trump e il consigliere per la sicurezza nazionale emiratino, Sheikh Tahnoon bin Zayed.

Il piano prevede un forte incremento degli investimenti emiratini nell’economia americana, con particolare attenzione ai settori dell’intelligenza artificiale, dei semiconduttori, dell’energia e della manifattura. Ossia tutti quelli più strategici, per altro tutti quelli con cui Abu Dhabi collabora anche con la Cina – ma nell’intento di Washington potrebbe esserci anche quello di sganciare questo genere di cooperazioni, nonostante gli emiratini tendono a una visione multi-allineata e non a somma zero delle loro relazioni con le grandi potenze.

Tra le prime iniziative annunciate, il fondo sovrano emiratino ADQ, in collaborazione con lo statunitense Energy Capital Partners, lancerà un programma da 25 miliardi di dollari focalizzato su infrastrutture energetiche e data center. Parallelamente, XRG – il braccio internazionale di Adnoc, compagnia petrolifera statale degli Emirati – investirà nella struttura texana di esportazione di gas naturale liquefatto NextDecade, per sostenere la produzione e l’export di gas statunitense.

Secondo la Casa Bianca, altri investimenti rilevanti sono previsti nei settori del gas, della chimica, delle infrastrutture energetiche e delle soluzioni a basse emissioni di carbonio. La visita emiratina, che ha incluso anche una cena ufficiale con il vicepresidente JD Vance e vari membri del gabinetto amministrativo, ha coinvolto i vertici dei principali fondi sovrani e gruppi industriali degli Emirati, che via via nelle prossime settimane sveleranno ulteriori dettagli del maxi piano.

Nei giorni scorsi, proprio Vance era stato protagonista di un discorso per il rilancio industriale americano, anche grazie a investimenti internazionali, in occasione dell’American Dynamism Summit organizzato dal venture capital Andreessen Horowitz. “Come forse avete sentito dire dal presidente, in meno di due mesi dal suo insediamento sono già stati assicurati oltre 1,7 trilioni di dollari di nuovi investimenti negli Stati Uniti”, diceva Vance. Ora vanno aggiunti quelli emiratini.

Abu Dhabi si conferma un attore agile, capace di sfruttare opportunità – capacità che lo contraddistingue dai cugini sauditi, che hanno dimensione maggiore sotto tutti i punti di vista, ma devono anche gestirla, anche in considerazione del ruolo culturale che occupano nel mondo islamico. Gli Emiratini sono partner iper-strategici per gli Stati Uniti, non solo sul piano economico: cardine degli Accordi di Abramo, sono alleati militari e securitari de facto nella regione, e punto di bilanciamento nelle relazioni extra-regionali – per esempio, la loro presenza nella logistica portuale indo-mediterranea li rende attori nevralgici nelle connessioni con l’India e con l’Europa.

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