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Finalmente anche un centro di ricerche prestigioso come Prometeia, prendendo spunto dai dati sull’export italiano del 2018, constata che il Mezzogiorno ha un sistema produttivo che, pur non avendo le dimensioni di quello del Nord, non è privo tuttavia di consistenza e dinamismo.

Chi scrive lo sta affermando da anni anche su queste colonne: chi abbia infatti la pazienza di rileggersi i numerosi pezzi ospitati cortesemente da lungo tempo ormai su Formiche.net potrà verificarlo di persona. E non lo abbiamo scritto solo in articoli di numerosi quotidiani, ma anche in una ricerca curata ad esempio dalla Fondazione Edison e pubblicata nel 2014 nel volume “L’economia reale nel Mezzogiorno”, curato dai professori Alberto Quadrio Curzio e Marco Fortis ed edito dal Mulino, in cui era ospitato un nostro lungo saggio sulla grande industria nel Sud.

Ampie ricerche anche sull’automotive, sull’aerospazio e sulla farmaceutica – comparti insediati nel meridione da almeno mezzo secolo – le abbiamo svolte per anni con la Srm, autorevole società di ricerca del Gruppo Intesa San Paolo, pubblicandole nei diversi volumi della sua collana sul Sud che innova e produce.

Abbiamo inoltre al nostro attivo un volume sulla Grande industria nel Mezzogiorno edito del 2008 – con prefazione di Luca Cordero di Montezemolo, allora presidente di Confindustria, pubblicato dalla Cacucci di Bari – in cui venne operata una accurata ricognizione della presenza nelle regioni meridionali delle grandi imprese e delle loro supply chain facenti capo sia a gruppi settentrionali ed esteri, e sia a imprenditori locali.

Scusandoci per queste autocitazioni, si vuole solo sottolineare che le scoperte di alcuni pur autorevoli Centri studi, per quanto sicuramente utili per informare l’opinione pubblica nazionale, in realtà risultano tardive. Così come il revirement della Svimez che ora esalta giustamente il dinamismo industriale meridionale, ma che qualche anno fa affermava che il Sud era alle soglie della desertificazione industriale: una tesi che il sottoscritto, da consigliere di amministrazione della stessa Svimez, ha sempre duramente combattuto, richiamando i dati riguardanti la geografia industriale del Sud che, anche negli anni più duri dell’ultima recessione, sono stati ben lontani dalle visioni catastrofistiche dell’associazione, ora diretta da Luca Bianchi.

Forse andrebbe ricordato a chi oggi riscopre il Sud e la sua industria che la più grande fabbrica manifatturiera d’Italia per numero di addetti diretti (8.200) è il siderurgico di Taranto controllato dal 1° novembre dello scorso anno dal maggior produttore di acciaio al mondo, il gruppo Arcelor Mittal: sito di Taranto peraltro che è anche la prima acciaieria a ciclo integrale per capacità dell’Unione Europea.

E forse bisognerebbe ricordare anche che la seconda fabbrica d’Italia sempre per numero di addetti diretti (7.400) è lo stabilimento della Fca a S. Nicola di Melfi (Pz). E forse bisognerebbe ricordare anche che le più grandi raffinerie italiane per capacità sono localizzate a Sarroch (Ca), Priolo e Augusta (Sr) e Milazzo (Me).

E ci fermiamo qui, per non saccheggiare la pazienza dei lettori, ma potremmo citare ancora altre centinaia di fabbriche piccole, medie e grandi di società – con i loro fatturati – che stiamo studiando da anni e di cui scriviamo su testate giornalistiche, volumi accademici, mensili specializzati in economia e in studi per conto di ministeri.

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