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Possiamo verificare facilmente l’aumento di eventi meteorologici eccezionali – come siccità, alluvioni, tornado e uragani; ma sono in corso anche effetti meno evidenti o meno facilmente riconducibili al cambiamento climatico, come migrazioni di massa, aumento di conflitti e di epidemie, specialmente in Paesi dove già è fragile l’equilibrio fra ecosistemi semidesertici e popolazioni che crescono sempre di più.
Per questo, i rappresentanti di 195 governi hanno ratificato gli Accordi di Parigi, dove si stabiliscono limiti precisi per le emissioni di gas serra, principali cause dell’aumento della temperatura mondiale. L’obiettivo della combinazione di queste iniziative è di mantenere entro i 2 gradi centigradi l’aumento di temperatura media mondiale di qui alla fine del secolo rispetto a quella pre-industriale.
Le emissioni di gas serra dovranno essere ridotte del 55% entro il 2050 e arrivare a zero nel 2060-2075.

Però lo United Nations Environment Programme segnala che siamo ancora ben lontani da quegli obiettivi e che, continuando con l’attuale tasso di sviluppo, alla fine del XXI secolo la temperatura del pianeta salirà di almeno tre gradi centigradi con conseguenze irreversibili per gran parte degli ecosistemi.

Per questo, è necessario individuare il contributo che ogni gas serra (non solo l’anidride carbonica ma anche il metano, gli ossidi di azoto, i clorofuorocarburi, l’ozono) porta al riscaldamento globale e come mitigarlo per diminuirne, così, l’effetto complessivo.
Al netto del contributo fisiologico che il vapore acqueo e le nubi danno all’effetto serra – variabile dal 36% al 72% in funzione della località e della stagione – il principale gas serra (GHG) è l’anidride carbonica, che contribuisce per oltre il 60%, seguita dal metano (20%), ozono (15%), ossidi nitrosi (10%) e l’insieme dei clorofluorocarburi (5%).
Le emissioni di anidride carbonica derivano da tre gruppi di attività umane: l’industria e il settore energetico (44% della CO2, 30% delle emissioni totali di GHG), l’edilizia (30% della CO2, 19% del totale), e i trasporti (23% della CO2, 15% del totale).

INDUSTRIA

Il progresso economico e sociale di Cina, India, Turchia, Brasile, Messico, Sud Africa e Paesi che si affacciano sul mare Cinese Meridionale è molto più alto di quello delle altre nazioni e avrà come conseguenza l’aumento dei consumi in tutti i settori, principalmente quello industriale e quello delle infrastrutture ed abitazioni.
Stime concordano che entro la metà del secolo, assisteremo a un aumento vertiginoso delle autovetture in circolazione. Si parla di oltre un miliardo, dovuto all’aumento della classe media nelle popolazioni in via di sviluppo, che si aggiungerà ai tre miliardi di veicoli che dovranno essere sostituiti, per un totale di 5 miliardi di auto da produrre e mettere in circolazione nei prossimi 30 anni.
Questi esempi valgono anche per gli altri beni di consumo e occorrerà un inteso programma di ricerca e sviluppo sull’efficienza energetica, sulla transizione verso fonti fossili meno inquinanti e poi alle rinnovabili. Parallelamente dovrà essere ridisegnato tutto il sistema economico a vantaggio di tutti i cicli economici circolari che prevedono il minor utilizzo delle materie prime e il minor scarto e spreco possibile quando i beni saranno arrivati a fine vita.
Un serio programma di economia circolare dovrà essere guidato dalla realizzazione di servizi per mantenere, riparare e riutilizzare questi beni. Diminuiranno le attività produttive e aumenteranno quelle dedicate a manutenzione e riciclo.

EDILIZIA

La realizzazione di cemento, ferro, alluminio, vetro e altri materiali da costruzione genera da sola il 10% dell’anidride carbonica che viene immessa in atmosfera dalle attività umane. A questo si aggiungono emissioni prodotte dal riscaldamento e condizionamento, dagli elettrodomestici e dalle apparecchiature elettriche.

Secondo le stime dell’Unione Europea, entro metà del secolo, dovrà essere realizzato il 46%, del parco edilizio mondiale. Mentre nei paesi sviluppati tutti gli edifici dovranno rispettare normative di completa autoproduzione energetica, l’85% delle nuove abitazioni sarà realizzato nei paesi con il più alto tasso di crescita e privi di vincoli legislativi sulla efficienza energetica delle case.
Per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni prima della fine del XXI secolo sarà necessario che tutti gli edifici, indipendentemente dalla nazione in cui verranno costruiti, dovranno produrre in proprio da fonti rinnovabili non solo l’energia che consumano ma anche quella necessaria per costruirli, per mantenerli e poi per smantellarli riciclandone i componenti.

TRASPORTI

Per raggiungere gli obiettivi fissati a Parigi, è necessario anche dimezzare le emissioni dovute alle auto oggi in circolazione. Ma, come abbiamo visto prima, vengono messe in strada 60 milioni di nuove auto ogni anno.

AUTO ELETTRICA IN FASE DI RICARICA

L’attuale rete di veicoli elettrici non risolve il problema perché, oggi, la loro elettricità viene generata per la maggior parte dalle centrali a carbone. Alle auto si affiancano i trasporti, che complessivamente richiedono altrettanta energia di quella consumata dal parco automobili. Uno studio dell’International Transport Forum (Itf) ha mostrato che il trasporto internazionale di merci su strada, ferrovia, rotte marine o aeree – ora in rapida espansione grazie allo spostamento degli acquisti da negozi e supermercati al commercio elettronico – produce il 30% del totale dell’intero settore e che aumenterà del 300% entro metà del secolo.
Occorrerà realizzare un nuovo modello di movimento di persone e merci che permetta di razionalizzare i trasporti diminuendo il più possibile la distanza fra luoghi di residenza e di lavoro, luoghi di produzione e di consumo e favorire i collegamenti telematici rispetto agli spostamenti fisici di cose e persone quando questi ultimi non sono strettamente necessari.

AGRICOLTURA E FORESTE

Le coltivazioni, l’allevamento e altri usi del suolo producono il 24% delle emissioni totali di gas serra. L’alimentazione di una popolazione mondiale in rapida crescita richiede l’aumento delle superfici coltivate e dedicate ad allevamenti e colture intensive. Ogni area sottratta al bosco ridurrà in modo corrispondente la capacità di assorbimento dell’anidride carbonica ad opera delle piante che vi si trovano, e questo corrisponde a creare nuove fonti di emissione netta. Ridisegnare questo settore provocherà un forte impatto sul modello economico e alimentare di intere popolazioni modificandone lo stile di vita.

In conclusione, non è possibile sostenere una crescita illimitata dei consumi di energia e delle materie prime. In tutti i settori sarà necessario compiere trasformazioni profonde. Per quanto riguarda l’energia, la soluzione consisterà nella transizione verso le rinnovabili e – quando sarà disponibile – la fusione. In parallelo, sarà necessario costruire reti globali che distribuiscano e bilancino eccessi di domanda o di generazione a livello locale. Per quanto riguarda la produzione di beni e servizi, sarà necessario abbandonare l’attuale modello economico – basato sulla crescita indefinita della produzione guidata da marketing e consumismo – e sostituire il modello “fai-usa-getta” con un circolo virtuoso “pensa-fai-usa-riusa-rimetti in circolo”.

Industria, edilizia e trasporti. Chi e come contribuisce al cambiamento climatico

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