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La Francia profonda insorge contro Emmanuel Macron. La rivolta divampata in tutto il Paese a seguito dell’aumento delle tasse sul gasolio (6,5 centesimi) e sulla benzina (2,9 centesimi) – soltanto in Italia il carburante caro – ha innescato una contestazione senza precedenti aggravata dalla morte di una signora in Savoia, vittima del panico di una donna al volante che ha perso il controllo per non non travolgere i manifestanti, e da centosessanta feriti.

La polizia, quasi in assetto di guerra, come se avesse dovuto fronteggiare un attentato terroristico, ha respinto migliaia di cittadini indignati nei pressi dell’Eliseo e dell’Arco di Trionfo. In altri centri minori della Francia, non diversamente da quanto è accaduto a Parigi, la gente si è fatta sentire e sono stati proprio i “rurali”, quasi sempre snobbati dai governi o delle élites, a protestare platealmente dopo l’approvazione di un provvedimento che porta il carburante a costi insostenibili per l’agricoltura francese. Il ministro dell’Interno, Christophe Castaner, che ha preso il posto del dimissionario Collomb, ha disposto il massimo livello di allerta, come dopo un attacco jihadista, raccomandando di prendere tutte le misure atte a non creare disastri. Per tutta risposta, purtroppo, dopo il grave incidente in Savoia, a Grasse, nelle Alpi Marittime, un’automobile “ha cercato di forzare un blocco” ed un poliziotto è rimasto ferito.

La Francia, insomma, è sconvolta. Macron, che soltanto qualche giorno fa aveva annunciato pomposamente di voler riconciliare i francesi, si ritrova con un popolo unito ma contro di lui. Le differenze politiche in questo momento non contano molto. Si sta formando un movimento spontaneo, al di là della destra, della sinistra e del centro, contro “il presidente dei ricchi”, quello che soltanto un anno e mezzo fa prometteva di ristabilire un’equità della quale i francesi non hanno visto neppure l’ombra. Le tasse sono aumentate e di fronte all’arroganza macroniana che non ha avuto neppure il buon gusto di spiegare perché l’imposizione fiscale dai tempi di Holland è sensibilmente lievitata, i suoi connazionali – soprattutto quelli che lo hanno votato – insorgono senza prendere ordini dai partiti.

Le Pen come Mélenchon, i socialisti come i post-gollisti sono tutti dalla parte dei manifestanti anche se, saggiamente, non si sono affiancati a quanti sono scesi in strada. Il popolo, ancorché non irreggimentato, lavora per loro. E se dopo i ferrovieri, gli impiegati statali, perfino gli agricoltori e la gente comune, quelli che vivono nei grandi centri come nei borghi più sperduti si accorgono che le politiche sociali ed economiche di Macron stanno gettando nella disperazione il ceto medio, mentre nulla i più disagiati hanno ricevuto dal nuovo governo, vuol dire che il tempo della resa dei conti con l’inquilino dell’Eliseo è arrivata ben più in fretta di quanto i suoi oppositori politici immaginavano.

Il movimento dei “gilet gialli” (dai giubbotti che i manifestanti indossano) è possibile che assuma fattezze molto più ampie di quelle mostrate nella giornata di sabato. Il partito di Macron, En Marche!, non riesce a fare fronte al disagio perché disorganizzato politicamente e, a conti fatti, prescindendo dai voti ottenuti alle politiche in seguito all’elezione presidenziale, non è assolutamente rappresentativo. Nessuno, apertamente, mostra di condividere il percorso dell’improvvisato raggruppamento e, dunque, non si vede chi potrebbe arginare la rabbia dei cittadini che non ne possono più delle promesse di Macron condite da una albagia irritante a dimostrazione di quanto sia lontano dal popolo e tanto, ma tanto vicino a quelle oligarchie economico-finanziarie che ne hanno favorito l’ascesa.

A sei mesi dalle elezioni europee, test sul quale il presidente conta molto per rilanciare la sua idea di Unione continentale, quanto gli sta accadendo intorno non l’aiuta di certo. Anche a livello internazionale comincia a rendersi conto di essere rimasto solo. Angela Merkel non ha nessuna intenzione di spendere i suoi spiccioli di potere elaborando progetti, peraltro non condivisi nella Cdu, con un perdente che perfino tra le mura amiche dell’Eliseo comincia ad avvertire una certa ostilità.

Nelle prossime settimane il popolare movimento dei “gilet gialli” dovrebbe, secondo quanto si dice a Parigi, lanciare una nuova offensiva. I partiti che si preparano per la competizione europea non staranno a guardare. In un modo o nell’altro, senza appropriarsi direttamente di nulla e di nessuno, favoriranno l’agitazione e la messa in discussione di Macron sempre più afflitto da sondaggi disastrosi.

Che il presidente abbia “marciato” per una sola breve stagione è ormai fuori discussione. Bisognerà attendere come le forze politiche che gli si oppongono, compresi i centristi nonostante il benevolo appoggio parlamentare di qualcuno di loro, si muoveranno in questo magma imprevedibile fino a qualche tempo fa. Quel che è certo, per ora, è che Macron sarà costretto a giocare sulla difensiva e non è detto che la “campagna che accerchia la città”, per usare una metafora dei tempi della rivoluzione culturale cinese, non abbia la meglio. A quel punto Macron sarebbe costretto a governare per più di tre anni avendo contro la Francia. Una situazione insostenibile, imprevedibile, inedita.

algeria, macron

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