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En attendant Macron… Come un qualsiasi Godot, insomma, si prova ad indovinare che cosa dirà questa sera ai francesi affacciandosi dagli schermi televisivi il presidente più confuso della recente storia francese. L’attesa, a dire la verità, non è così trepidante e neppure paragonabile a quella che nel maggio di cinquant’anni fa teneva attaccati alla radio, oltre che alla Tv, cittadini davvero frastornati, ma anche fiduciosi, nell’ascoltare che il generale De Gaulle li invitasse, come fece, alla mobilitazione contro il disfacimento della Francia. Lo ascoltarono e lo seguirono. Si era ritratto il vecchio leader di fronte alla “sbandata” che considerava un affronto personale ed aveva perfino abbandonato temporaneamente l’Eliseo offeso da quelle turbe di ragazzi vivaci e arroganti, qualcuno anche eccessivamente violento, che avrebbero voluto mettere in ginocchio la neonata Quinta Repubblica. E soltanto l’orgoglio di un capo autentico, di un uomo che era tutt’uno con il suo popolo riuscì a sconfiggere facinorosi sostenuti da intellettuali libertari e sovietizzati (nessuna differenza, in Francia s’è visto ben altro e di peggio negli ultimi due secoli), con la “forza tranquilla” di un ceto medio, laborioso, produttivo ed accorto – la Francia profonda, si sarebbe detto – che alle sirene rivoluzionarie non aveva più intenzione di cedere, neppure per assecondare una moda passeggera.

Ma Macron che cosa può dire? La sua arrogante solitudine lo tiene lontano dai problemi della gente. Certo, li studia da diligente scolaro qual è sempre stato, ma non capisce il Grande Risentimento che motiva i suoi – sì proprio suoi – contestatori. E, dunque, si rifugerà in vaghe promesse, accenderà pallide speranze, inonderà di grandeur appassita gli ascoltatori distratti, come ha fatto sempre, fin dai giorni della sua “discesa in campo” ed ancor di più quando, dopo aver attraversato con passo solenne il sontuoso cortile del Louvre, pronunciò il suo primo discorso da presidente: era soltanto il maggio di diciannove mesi fa…

Ci si chiede: disinnescherà la rivolta? Poco probabile. Il malessere francese non è riducibile a quello dei gilet gialli. È un malessere radicato, sentito, penetrato nelle fibre della società, e non soltanto per colpa di Macron, beninteso. È antico, si potrebbe dire. Affonda nel distacco tra il potere e la società. Le tracce stanno in quel sentiero sconnesso percorso da Sarkozy ed Hollande e battuto dal loro successore che i sociologi chiamano “disintermediazione”. In altre parole: il distacco dai ceti intermedi, l’abitudine a far calare dall’alto decisioni estranee allo spirito ed ai bisogni del popolo, il disprezzo, ancorché non esplicitato, per la comunità nazionale nel suo insieme.

Un errore esiziale; quasi un crimine politico nel Paese che lungo la sua storia recente, dalla fine della guerra in poi insomma, si è affidato alla Croce di Lorena con tutto il suo bagaglio ideale e culturale di partecipazione e solidarietà, poi alla concertazione sociale post-gollista, e quindi al socialismo orgoglioso di un intellettuale raffinato come Mitterrand per guadagnarsi giorno dopo giorno il suo posto tra i Grandi respingendo tentazioni “esotiche” quanto pericolose, a cominciare dal comunismo e finendo con l’islamizzazione non del tutto arginata, ed anche questo è un problema sottovalutato da Macron.

Il presidente-monarca non ne sa niente di quanto gli si muove attorno o, almeno, lo guarda come smarrito, perduto nelle sue visioni globali; non lo ignora, insomma, ma non pratica la virtù della prassi preferendo studiare teorici dossier, come quello sulla transizione ecologica, che non si ci fanno al necessario realismo di una prassi politica legata ai problemi del popolo.

Egli ha voluto rappresentare le istanze del gran mondo che mena le danze della politica internazionale dimenticando che fuori dalla cerchia muraria della grande città della tecnocrazia finanziaria ci sono trattori che devono rifornirsi di carburante; quartieri-ghetti dove si coltiva la separatezza culturale a prova di un fallimento di integrazione e/o assimilazione; una società civile che non tollera la fine delle identità culturali e religiose vissute peraltro in modo molto laico. Alcune leggi, come la Taubira ad esempio, sono state uno schiaffo alla Francia che ancora coltiva la sua anima, non diversamente dall’aumento delle tasse al ceto medio (del quale ormai fanno parte anche gli operai) per assecondare i capricci dei ricchi riducendo la patrimoniale e favorendo i loro spericolati investimenti, spesso lontano dai confini francesi, sicché mentre chi tira la cinghia ogni giorno, in un clima di insicurezza e di sostanziale “malinconia sociale” si ritrova i grandi gruppi finanziari che delocalizzano e vendono in patria a prezzi esorbitanti: disoccupazione e impoverimento, altro che populismo…

Il carovita Macron non sa neppure che cosa sia. Lo sanno i gilet gialli, lo sanno tutti i francesi. E non si accontentano i manifestanti di essere additati come esempio di una rivolta che andrà lontano per acquietarsi. Gli si sono gettati addosso Steve Bannon e Beppe Grillo, ma a loro non importa a niente dello scompiglio provocato che viene interpretato tanto male e così approssimativamente. Non diventeranno i manifestanti di Parigi, Nantes, Bordeaux, Lione e dell’immensa provincia francese, dalle coste bretoni alle dolci colline provenzali, un partito organizzato, ma vorrebbero che i partiti riprendessero le ragioni che stanno dilagando nell’Esagono e le facessero loro, fino a far capire al presidente che non basta rimuovere un primo ministro perché tutto torni come prima.

La Francia ha bisogno piuttosto di rimuovere il malessere accumulato per tornare a respirare. Macron sembra non averlo capito. Il discorso di questa sera ci dirà se ha imparato la lezione, ma sarà difficile credergli visto il suo approccio recente al problema. Si ha la vaga impressione che si senta “protetto” dalle istituzioni della Quinta Repubblica abbastanza malmessa. E non ritenga che con il 24% dei voti ottenuti non si possa a lungo dominare l’80% di un consesso parlamentare: una legge elettorale assurda di questi tempi, valida quando i competitori erano due o tre partiti… O meglio, sarebbe possibile, ma se alle porte dell’Assemblea non battessero i pugni quanti vogliono farsi sentire. Il mondo che Macron ignora e che non è En Marche insieme con lui, sprofondato nella sua solitudine.

Aspettando Macron la Francia non si fa illusioni. I gilet gialli? Non diventeranno partito

En attendant Macron... Come un qualsiasi Godot, insomma, si prova ad indovinare che cosa dirà questa sera ai francesi affacciandosi dagli schermi televisivi il presidente più confuso della recente storia francese. L’attesa, a dire la verità, non è così trepidante e neppure paragonabile a quella che nel maggio di cinquant’anni fa teneva attaccati alla radio, oltre che alla Tv, cittadini…

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