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Non solo Bannon. In Europa c’è ancora una destra conservatrice che vuole avere voce in capitolo e non finire stritolata dal progetto sovranista promosso dall’ex capo stratega di Donald Trump. Alle prossime elezioni per l’Europarlamento i conservatori europei (European Conservative and Reformists) pagheranno il prezzo di una pesante defezione: con la Brexit verranno a mancare i deputati del Partito conservatore inglese, un quarto dell’intera pattuglia parlamentare. Il rischio è l’irrilevanza. Una via d’uscita c’è: unire tutte le destre e governare l’Ue con i popolari. Ne è convinto Anders Vistisen, trentun anni, vicepresidente del Comitato Affari Esteri dell’Europarlamento, uno dei volti più credibili del People’s Party danese e dell’intera famiglia conservatrice europea, per cui coordina il Comitato Speciale sul Terrorismo (TERR). Formiche.net lo ha incontrato a Roma a margine di un incontro organizzato dall’Euro-Gulf Information Centre (Egic). “Non abbiamo bisogno di un americano che ci insegni a unire le destre – ci spiega l’europarlamentare danese in un perfetto accento britannico – lui non capisce la complessità dell’Ue”.

La Brexit priverà il vostro partito di una folta pattuglia parlamentare. C’è un futuro per i conservatori europei?

Il movimento conservatore, così come altri partiti di destra, risentirà della Brexit alle prossime elezioni europee. La domanda da porsi in vista del voto di maggio è la seguente: riusciranno le destre europee a unirsi in un’unica famiglia per diventare il secondo partito in Parlamento?

Qual è la sua risposta?

Premesso che ci sono partiti di destra che non possono essere accettati, come i neofascisti di Alba Dorata in Grecia o di Jobbik in Ungheria, credo che le destre europee dovrebbero superare le divisioni interne e unirsi contro un’eccessiva devoluzione di sovranità all’Ue e a favore di un accordo sulla distribuzione dei migranti che non si risolva in un ping pong fra Stati membri. Tutti i grandi partiti europei sono delle “cattedrali”: il Ppe comprende socialisti e sovranisti alla Fidesz, il Pse partiti anti-immigrazione come i Socialdemocratici danesi e partiti di ispirazione comunista.

Steve Bannon ha avanzato una sua proposta: The Movement.

Non abbiamo bisogno di un americano che ci insegni a unire le destre. Gli americani tendono a semplificare troppo l’Ue, che è composta da 27 Stati con culture, storie e tradizioni diverse che devono essere preservate. Bannon non sta dando una mano alla destra, sta solo creando confusione.

Perché secondo lei i sovranisti europei si affidano a Bannon?

È davvero inspiegabile. Molti di questi movimenti hanno sempre mostrato scetticismo verso gli americani.  Credo che Bannon cerchi nei partiti sovranisti di successo come la Lega un’occasione di riscatto personale. Non è detto che funzioni. Se sei stato cacciato dall’amministrazione Trump vuol dire che nemmeno lì sei riuscito a combinare qualcosa di buono, non vedo perché dovresti riuscirci in Europa (ride, ndr).

Come si spiega il successo di The Movement?

Non vedo ancora questo grande successo. In tutta sincerità la maggior parte degli europarlamentari con cui ho parlato non ha intenzione di lavorare con Bannon. Farage, Le Pen e Salvini sono le sole figure di grande impatto mediatico che supportano il suo progetto.

Però le adesioni aumentano. Perché?

Perché promette loro grandi finanziamenti provenienti dal fundraising negli Stati Uniti, ma io tutto questo denaro ancora non l’ho visto. Bannon si dice stupito di quanti pochi soldi sono stati spesi per la campagna del Leave o per le elezioni italiane, ma dimentica che, a differenza della politica americana, la politica europea non è solo costruita sui soldi. Il mio partito ha un quarto dei fondi del partito conservatore europeo, eppure alle ultime elezioni ha ottenuto il 21% dei voti mentre i conservatori europei hanno raccolto il 3,5%.

Secondo lei il fenomeno Bannon va ridimensionato?

Come ogni americano, Bannon è un genio del marketing. È riuscito a convincere il sistema mediatico che il suo movimento sta mietendo consensi in tutta Europa, ma non è così. Ho parlato con diversi esponenti dei partiti chiamati in causa, e nessuno è entusiasta: i tedeschi di Afd, i Democratici svedesi, i sovranisti finlandesi e austriaci. Continuando a dipingere una destra europea pronta a seguire Trump insieme a Bannon i media gli stanno facendo un enorme favore.

Dopo il voto si immagina un’alleanza fra Ppe e destre unite?

È l’unica via per ottenere la maggioranza in parlamento. Spero che il Ppe se ne accorga prima che sia troppo tardi, e che rinunci a cercare sempre, anche quando è controproducente, un accordo con i socialisti. L’alleanza fra Forza Italia e Lega è la prova che può funzionare.

Anche se fra azzurri e leghisti non sono proprio rose e fiori…

È vero, ma ci sono alternative? Un accordo Ppe-Pse è una condanna alla sconfitta certa. Molti fra i popolari sperano invece in un’intesa con i sovranisti di Efd e rimproverano al Ppe di esser diventato un partito di centro-sinistra. È la soluzione che ha più chances di successo, anche se con la frammentazione dei partiti europei le prossime elezioni potrebbero essere le prime in cui due grandi forze politiche si uniscono senza ottenere la maggioranza.

A suo parere il governo italiano deve votare le sanzioni europee contro l’Ungheria?

Nessuno dovrebbe votare a favore di quelle sanzioni. Il governo ungherese ha commesso tanti errori, ma questo voto rischia di innescare una pericolosa spirale. Ora tocca all’Ungheria, ma domani sarà il turno della Polonia, poi dell’Austria e dell’Italia. Se lo scopo è, come credo, piegare Fidesz, si otterrà l’esatto opposto. Il voto delle sanzioni è un’assicurazione per la rielezione di Orban.

Emmanuel Macron è una figura credibile per guidare il fronte liberal?

Macron deve prima pensare a risolvere i problemi a casa sua. Il presidente francese è travolto dalle stesse polemiche che hanno travolto Nicolas Sarkozy e François Hollande. Nel migliore dei casi una coalizione guidata da Macron può ottenere un centinaio di parlamentari, arrivando terza o quarta in Parlamento. Questi numeri non bastano per avere un impatto significativo sulle votazioni del Consiglio, dove servono i partiti di governo, che al momento non sembrano entusiasti di seguire il presidente francese. Penso ai liberali danesi e finlandesi, o ai liberali di Mark Rutte in Olanda.

I sovranisti europei vogliono togliere le sanzioni contro la Russia. I conservatori come la pensano?

Siamo un partito pro-Nato, ma sono contrario alle sanzioni senza una exit-strategy. Prima di imporre le sanzioni devi capire qual è il tuo obiettivo. Se l’obiettivo è il ritiro delle forze armate russe dalla Crimea puoi star certo che le sanzioni non avranno alcun effetto. Arriverà presto il giorno in cui Vladimir Putin spezzerà l’unità europea sulle sanzioni e incasserà una clamorosa vittoria.

Esiste secondo lei una minaccia russa?

La cyberwarfare è la principale minaccia russa, perché hanno imparato a interferire nella politica interna dei Paesi esteri. Ma non sono gli unici, anche l’Iran, la Cina e la Corea del Nord hanno queste capacità. Per non parlare degli Stati Uniti, che sono in grado di spiare senza fatica le conversazioni telefoniche di Angela Merkel.

L’Europa dell’Est è ancora atlantica o subisce il fascino di Mosca?

Polonia e Paesi di Visegrad traggono dalla loro storia gli anitcorpi necessari per contenere la minaccia russa. I Paesi baltici sono i più esposti, perché hanno minoranze russofone di grandi entità, ma non credo che la loro integrità territoriale sia a rischio, perché sono saldamente ancorati alla Nato. La Russia una grande potenza militare, ma ha un Pil nominale inferiore a quello italiano. È un orso ferito, che va tenuto a bada, non punzecchiato. La vera minaccia arriva dall’espansione militare, dal furto di proprietà intellettuale e dal dumping dei cinesi.

Foto: youtube

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