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Il mercato azionario e obbligazionario non sembra essere particolarmente scosso dal giudizio di venerdì sera (qui l’articolo con tutti i dettagli) emesso da Standard&Poor’s. Outlook da stabile a negativo e rating confermato sono un mix sufficiente a non spaventare chi ogni giorno investe e sottoscrive il nostro debito sovrano. C’era chi questa mattina si aspettava sfaceli e invece no. Borsa, spread e titoli piazzati sul mercato hanno dato un verdetto unanime: le agenzie di rating hanno dimostrato finora un impatto sempre più limitato sull’emotività dei mercati. Accadde anche con Moody’s, due settimane fa.

Piazza Affari segna per il momento un rialzo del 2,2%, valore che non si vedeva da tre settimane in Borsa. A trainare il listino soprattutto le banche, il settore peraltro più esposto al rialzo dello spread, a causa dei 370 miliardi di titoli pubblici detenuti dagli istituti nei bilanci. Un analista di Mps fa notare come alla reazione positiva della Borsa abbia contribuito “la sensazione che nella compagine di governo ci sia una maggiore consapevolezza dei rischi che si stanno correndo per la vicenda dello spread, collegata anche alle banche. Adesso abbiamo superato l’ondata di rating, i prossimi giorni saranno dedicati prima all’appuntamento delle elezioni americane, poi inizieranno i veri giorni caldi di dialettica con l’Europa sulla legge finanziaria”.

Ma la vera sorpresa è arrivata dallo spread. Il quale in apertura di seduta è repentinamente sceso sotto i 300 punti base, dai 318 dello scorso venerdì pomeriggio. Oltre diciotto punti base non sono pochi di questi tempi, visto che più volte il differenziale Btp/Bund si è infiammato. Certo, rispetto ai livelli del maggio scorso i livelli sono ancora alti e se lo spread dovesse rimanere oltre i 250 punti base ancora a lungo, per qualche banca (venerdì sono in programma gli stress test dell’Eba, l’autorità europea bancaria) ci potrebbero essere dei problemi.

Ma proprio la consapevolezza dell’esecutivo di cui si faceva menzione sopra, potrebbe evitare il peggio. Il governo si è detto infatti pronto a intervenire in caso di necessità, ovvero qualora lo spread salisse a ridosso dei 400 punti base. La scorsa settimana si è parlato dell’utilizzo dei circa 15 miliardi di euro residui del fondo di salvataggio delle banche attrezzato dal precedente governo. Questo nonostante il fondo non possa essere utilizzato nel 2019, perché le risorse sono impegnate e a fine anno quello che rimane andrà, con apposito decreto ministeriale, destinato al fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. Dunque il governo dovrà trovare altrove le risorse necessarie, ma è bastato il messaggio: Palazzo Chigi è pronto a evitare il peggio.

Ultimo segnale, l’asta Bot da 6 miliardi appena conclusa. Il Tesoro italiano ha venduto tutti i 6 miliardi di euro di Bot a sei mesi offerti nell’asta odierna, pagando un tasso dello 0,159%, in discesa dallo 0,206% del collocamento dello scorso 26 settembre. La domanda è stata dunque di 9,6 miliardi, pari a 1,6 volte l’offerta e stabile rispetto all’asta di un mese fa, dimostrando essenzialmente una cosa: lo Stato italiano è riuscito a convincere gli investitori a comprare debito anche alleggerendo le cedole. Non era scontato.

Standard & Poor's non fa più paura. Né allo spread né alla Borsa

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