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Il viaggio che Papa Francesco si appresta a compiere visitando gli Emirati Arabi Uniti ha tantissime significati e risvolti. Il primo ovviamente è quello inerente il dialogo con l’Islam e con le autorità religiose che vi incontrerà, poi vi è quello del ruolo politico di un Paese cruciale negli equilibri non facili del Golfo, quindi vi è quello dei cristiani più dimenticati del Medio Oriente, quelli che aumentano di numero e di cui troppo poco si parla, gli immigrati, che alle volte però riportano antiche Chiese nella loro terra d’origine. Nei Paesi arabi del Golfo vivono più di due milioni di cristiani la cui condizione è cominciata a migliorare proprio in questo Paese, in Qatar, in Kuwait, e ora qualche concessione viene fatta anche in Arabia Saudita, dove i cristiani sono almeno il 5% della popolazione, il 7% negli Emirati Arabi, oltre il 10% in Kuwait e Bahrein.

Ma il fatto più rilevante è che questi lavoratori immigrati, sfruttati in modo irriguardoso di molti dei loro diritti civili, appartengono ad antichi riti i cui vescovi, ancora ai tempi di Carlo Magno, contavano più del papa di Roma. Forse allora più di un quarto dei cristiani del mondo si riconoscevano nel patriarca della Chiesa d’Oriente, Timoteo. Ora però le migrazioni dall’India e Sri Lanka riportano nella terra d’origine l’antica Chiesa malankarese, formatasi in India ma erede della tradizione che costruì proprio qui i grandi monasteri che coronavano il Golfo, 1400 anni fa. Altri antichissimi riti, invece, sono spariti dopo essere stati ritenuti eretici dai grandi concili bizantini, ma che si intravedono nell’idea di Gesù abbracciata dal testo sacro dei musulmani e che non è solo quella di un profeta come tanti altri, ma “spirito di verità” e nuovo Adamo.

Così questo vasto cristianesimo- che ha nella storia di San Tommaso Apostolo (che arrivò sino in India) le sue origini- e il valore delle migrazioni non potranno che intrecciarsi in un senso unico: se i cristiani del Medio Oriente sono a rischio di estinzione, il fenomeno migratorio sta riportando milioni di cristiani nel Medio Oriente, principalmente nei Paesi di quel Golfo dove arriva Francesco. Potranno diventare un domani nuovi cristiani del Medio Oriente? Senza il fenomeno migratorio le antiche radici di alcuni dei loro riti sarebbero mai riemerse?

Il ruolo dei cristiani nella storia di questa regione porterà con sé anche quello degli ebrei e così acquisisce ulteriore significato, già enorme, la presenza all’incontro inter-religioso anche di rappresentanti dell’ebraismo, insieme al papa, al grande imam dell’università di al-Azhar e al presidente del Consiglio dei dotti dell’Islam. La portata di questa presenza è a tutti chiara, facilitata dal riavvicinamento tra i governi del Golfo e Israele. Ma non si può tacere il valore dell’articolo firmato da segretario generale della Lega Musulmana Mondiale, Muhammad al Issa, in questi giorni sul Washington Post nel quale si indicano i motivi per cui i musulmani mondiali devono ricordare l’Olocausto: “Le lezioni dell’Olocausto sono universali e i musulmani di tutto il mondo hanno la responsabilità di apprenderle, prestare attenzione agli avvertimenti e unirsi all’impegno internazionale per assicurare ‘mai più’.” Issa ricorda di aver scritto un anno fa a Sara Bloomfield, direttrice dell’Us Holocaust Memorial Museum, ma aver scritto questo articolo a ridosso del giorno della memoria e del viaggio di Francesco negli Emirati Arabi Uniti ha rilievo.

Il peso del viaggio ovviamente risiederà nei temi di fondo, ma non potrà prescindere dai grandi temi dell’oggi, non solo in termini di edificazione di un dialogo che sappia fare i conti anche con il fanatismo e la negazione dell’altro, ma anche e in particolar modo con le tremende guerre nello Yemen e in Siria. Ma la prospettiva di fondo che unirà tutto questo, la vera questione che riproporrà anche a chi cala le aperture come “concessioni dall’alto”, non potrà che essere quello della costruzione della comune cittadinanza, tema di fondo del precedente viaggio in Egitto. Proprio l’accettazione culturale della comune cittadinanza da parte dell’Università di al-Azhar aveva spianato la strada, grazie all’impegno dell’imam al Tayyeb, al viaggio di Francesco in Egitto. La strada resterà lunga, difficile, ma resta l’unica per raccogliere le richieste di popoli stanchi delle ricette fallite del panarabismo e panislamismo. Alle quali solo la cittadinanza porrà rimedio. È questa la richiesta che viene dal basso, e a cui i vertici cominciano a sentire di dover dare qualche cenno di risposta. Vista così diviene particolarmente significativa la vera novità del viaggio: quando il papa entrerà nello stadio dove celebrerà la Messa davanti a circa 150mila fedeli sarà la prima volta che un rito religioso non islamico verrà celebrato all’aperto, nello spazio pubblico. Aprire a tutti lo spazio pubblico, rendere comune, “cittadino”, lo spazio pubblico, sarà il messaggio. E questo messaggio arriverà certamente anche negli altri Paesi arabi, sia panarabisti sia panislamisti. Quanto ci vorrà perché venga anche recepito oggi nessuno può dirlo, ma già il fatto che parta è di enorme importanza.

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