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Il futuro dell’Italia e dell’Europa si basa sulla capacità di restituire la speranza ai cittadini. É la prospettiva della crescita l’unica che può evitare una pericolosa deriva delle nostre democrazie e di quel disegno di De Gasperi ed Adenauer che ha garantito decenni di pace nel Vecchio Continente. Paolo Savona ne è convinto e, a dispetto della scorretta vulgata che lo vedrebbe fra i fautori del No Euro, ha voluto fare una operazione di “disclosure”, ovvero di disvelamento, relativamente a quello su cui il governo sta lavorando in questi giorni, prima della presentazione della nota di aggiornamento del Def.

Il ministro degli Affari Europei e punto di riferimento economico per Salvini e Di Maio, si è guardato bene dall’entrare nella polemica sul come spendere i soldi (flat tax, reddito di cittadinanza, riforma della Fornero) né ha voluto mettere in discussione i parametri di Maastricht. Il ragionamento fatto dal professor Savona ai microfoni di Rai 3 ha riguardato la crescita. Se infatti l’Italia deve stare dentro un rapporto chiaro fra deficit e Pil, perché impiccarsi sulla spesa pubblica quando il nodo da sciogliere è quello della crescita? Lo sforzo, condiviso da Giovanni Tria, è quello di dimostrare a Bruxelles che il nuovo governo non intende usare solo la leva “politica” della spesa corrente per fiscalità e welfare ma vuole attivare anche la leva “economica” degli investimenti.

In teoria, si potrebbe far valere l’attivo nella bilancia dei pagamenti, che per l’Italia è pari a circa 50 miliardi di euro. Sebbene il dato sia incontrovertibile, la burocrazia europea è refrattaria a prenderlo nell’adeguata considerazione. D’altronde, Savona e Tria vogliono presentarsi alla Commissione (insieme a Moavero e allo stesso Conte) con numeri credibili e stime più che prudenti. Ecco perché l’orientamento è quello di immaginare un punto di Pil di investimenti, metà pubblici metà privati, che siano non solo certi e cantierabili (per questo è così importante la parte privata) ma anche “certificabili” attraverso una rigorosa analisi costi-benefici di cui proprio economisti italiani come Lucio Scandizzo sono esperti riconosciuti (chiedere in World Bank).

L’impatto di questi investimenti potrebbe consentire di rendere credibile il numero chiave per la manovra 2019: il 2% inteso non come rapporto deficit/Pil ma come crescita prevista. Se questo paradigma passasse – e le dichiarazioni rilasciate dal governatore della Banca d’Italia sono, per quanto possibile, incoraggianti – si libererebbero le risorse necessarie per realizzare il programma del governo del cambiamento.

Si tratta di un lavoro difficilissimo ed ambizioso. Lo stesso Savona ammette che difficilmente sarebbe potuto passare in passato. Ora però le condizioni sono diverse. L’Italia è alle prese con le prove generali di un governo populista che potrebbe persino essere considerato come moderato rispetto alle tendenze che stanno emergendo in tutta Europa. Non si tratta quindi di pretendere trattamenti speciali ma di convergere su quella che il ministro chiama una politeia nuova dell’Unione. Nel caso specifico, i tecnici del governo sono al lavoro per presentarsi con le carte in regola. Paolo Savona comprende bene le regole della politica ed è comprensivo delle dichiarazioni dei leader della maggioranza. Ora però si tratta di avere un clima di fiducia. E per spiegare come stanno le cose ha scelto di andare in tv, una specie di tortura per una persona riservata come lui. Era però necessario. L’alternativa è il caos comunicativo di chi, si spera solo per ignoranza, sembra voler fare il male del governo di cui pure farebbe parte. Intelligenti pauca.

tria, savona

Il numero magico del governo? Il 2% (di crescita). Paolo Savona spiega come e perché

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