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Nelle province meridionali dell’Iraq, un mese fa, l’8 luglio, sono scoppiate proteste che si sono protratte nelle settimane a seguire causando una decina di morti e un centinaio di feriti tra i manifestanti. Non è la prima volta che la rabbia popolare esplode in quest’area, quando le temperature salgono a toccare i 50 gradi e le carenze nei servizi diventano insopportabili. Città come Bassora sono l’incarnazione del paradosso dell’abbondanza: da qui proviene il 70% della produzione nazionale di petrolio e, nonostante ciò, povertà e disoccupazione proliferano e il degrado del tessuto urbano è visibile nelle baraccopoli che inglobano le periferie. Il governo dal canto suo rimane assente.

LA NATURA E LA DINAMICA DELLE PROTESTE

Nel giro di pochi giorni le manifestazioni si sono diffuse da Bassora a Najaf, Kerbala, Nasiriyah e Amarah e, in misura decisamente minore, Baghdad. La causa scatenante è stata l’assenza di elettricità provocata dai tagli operati dall’Iran, che integra l’ insufficiente produzione energetica irachena. Non è chiaro se Teheran abbia agito per una sua penuria interna di elettricità o abbia reagito al mancato pagamento da parte di Baghdad di circa un miliardo di dollari. Le sanzioni americane hanno reso peraltro più complicato far pervenire i pagamenti dovuti alla Repubblica islamica.

A questo disagio si sono sommate altre problematiche che tengono l’area al di sotto del suo potenziale di sviluppo: ad esempio, mancano scuole e ospedali e molti giovani sono disoccupati e costretti ad emigrare in altre zone del Paese. Le multinazionali del petrolio impiegano uno scarso 4% della popolazione locale e preferiscono delocalizzare molte delle loro attività. Ciò che riceve la gente del posto dai giacimenti di petrolio presenti sul territorio è solo inquinamento.

Lo smaltimento dei rifiuti è inefficiente quanto la fornitura discontinua di acqua potabile in tutti i quartieri. L’assenza di impianti di desalinizzazione è tra le cause della recente morìa dei bufali d’acqua, uno dei principali capi d’allevamento nella regione, e dell’incedere della desertificazione che riduce i campi coltivabili.

UN’EREDITÀ DI ABBANDONO E MARGINALIZZAZIONE

Non è la prima volta che Bassora si ritrova ad essere l’epicentro di moti di malcontento popolare. In passato, la città è stata un dinamico centro intellettuale, un vivace melting pot di culture diverse, la ‘Venezia dell’Iraq’ con i suoi palazzi bianchi dalle balconate affacciate sui canali che innervano la città. Oggi non rimane molto di quei giorni gloriosi, solo le cicatrici di anni di marginalizzazione.

La città infatti era stata duramente colpita durante la guerra Iran – Iraq e Saddam Hussein si era rifiutato di investire fondi nella sua ricostruzione per ritorsione dopo l’insurrezione della popolazione sciita locale, lasciata poi in balìa delle sanzioni che per un decennio hanno colpito l’Iraq. Quando nel 2003 il regime è caduto e si è formato un governo sciita, si sperava fosse finalmente arrivato il momento per il Sud di uscire dallo stato di abbandono in cui versava.

Così non è stato: corruzione e cattiva gestione non hanno fatto che peggiorare le condizioni di vita nell’area, spingendo la popolazione in piazza già nel 2015. Ieri come oggi le proteste, scoppiate nel cuore dell’Iraq sciita, eludono la narrativa settaria che ha caratterizzato l’Iraq post-Saddam e chiamano piuttosto in causa l’inefficienza della muhassasa, il sistema di quote su base religiosa ed etnica stabilito dopo il 2003. La verità infatti è che il malfunzionamento di servizi e infrastrutture, corruzione e nepotismo sono una piaga per la maggior parte del Paese, tranne che per una piccola elite che continua a prosperare nel caos.

DA PARTE DEL GOVERNO MANCANO RISPOSTE CONCRETE

Le autorità hanno finora risposto cercando sia di svuotare sia di sopprimere le proteste. Da un lato, sono state inviate truppe anti sommossa e l’accesso a internet è stato interrotto per circa 24 ore il 14 luglio. Dall’altro, Haider al-Abadi, il premier in carica, si è recato a Bassora e ha incontrato i capi tribali, ha promesso l’allocazione di circa tre miliardi di dollari alla provincia e la creazione di 10.000 posti di lavoro nel settore petrolifero e il 29 luglio ha sospeso dalle sue funzioni il Ministro dell’Elettricità.

Le promesse fatte dal premier non sono però riuscite a calmare le strade: dopo anni di impegni non rispettati, la classe politica ha perso credibilità. Inoltre manca un piano di decentralizzazione chiaro: da Bassora si sono levate nuovamente le voci di quanti chiedono una maggiore autonomia sul modello della regione curda. Pur volendo dare credito alle promesse fatte, non c’è al momento chi possa mantenerle: il mandato del governo è scaduto il 30 giugno e i vincitori delle elezioni ancora non sono riusciti a trovare un accordo di coalizione. Il processo è stato rallentato anche dal riconteggio delle schede elettorali ordinato dalla Corte Suprema per presunti brogli elettorali.

Ad ogni modo, la mancanza di risposte concrete alle rivendicazioni popolari di questi giorni potrebbe mettere in pericolo sia la riconferma di Al-Abadi a capo del governo, sia la posizione di Moqtada al-Sadr che aveva dato voce in campagna elettorale alle classi più marginalizzate, dicendo di volersi impegnare tra le altre cose proprio a risolvere l’annoso problema dei blackout. Si prospetta un’estate calda per l’Iraq del Sud.

(Articolo pubblicato sul sito di Affari Internazionali)

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