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Non giochiamo con le parole: molte decisioni francesi degli ultimi anni sono inaccettabili, rappresentano un danno per l’Italia e sono figlie di un atteggiamento complessivo improntato ad un senso di superiorità che al di là delle Alpi ha da sempre un posto in prima fila.

È stata francese (e americana) la decisione di abbattere Gheddafi (che non era uno stinco di santo), mettendo così in grande difficoltà il ruolo italiano nel Mediterraneo (con annessi rilevanti interessi petroliferi). È francese l’atteggiamento di brutale assenza di collaborazione in tema di immigrazione, che alla frontiera di Ventimiglia si manifesta in tutta la sua evidenza. È francese la totale mancanza di ogni reciprocità in materia di acquisizioni di società, come dimostra la vicenda Fincantieri-STX (mentre Alstom e Siemens meditano la fusione delle rispettive divisioni ferroviarie, guarda caso proprio sull’asse franco-tedesco), che è in stallo ormai da troppo tempo per non essere finita nel cono d’ombra. E guarda caso è pure francese il grande capo del Fondo Monetario Internazionale, cioè quella Christine Lagarde che proprio poche ore fa ha tuonato da Davos contro l’economia italiana, accusandola di essere tra i principali elementi di instabilità a livello mondiale.

Oggi poi è il giorno del Patto di Aquisgrana, con il quale Angela Merkel ed Emmanuel Macron rinsaldano le basi di un futuro sempre più coordinato tra la prima e la seconda economia Ue, garantendo l’appoggio francese alla richiesta tedesca di un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu (di fatto chiudendo la spaventosa ferita della Seconda Guerra Mondiale), immaginando collaborazioni sempre più strette in materie delicate come difesa e sicurezza e addirittura stabilendo che i ministri parteciperanno a riunione periodiche dell’esecutivo dell’altro paese.

Insomma Francia e Germania (pur con due leader non esattamente al massimo della forza) scelgono la strada dell’integrazione bilaterale, come nucleo “forte” di una Ue ormai paralizzata da una governance difficile da gestire ed alla vigilia di uno tsunami elettorale di marca sovranista-populista. Tornando un momento a casa nostra vediamo che Salvini, Di Maio e Di Battista sono scatenati, avendo individuato la polemica accesa contro Parigi come elemento essenziale della loro campagna elettorale per le Europee del 26 maggio.

In questo contesto poco possono fare di alternativo i membri tecnici del governo (Conte, Moavero, Savona, Tria) che certamente vorrebbero toni ben diversi ma che non si metteranno di traverso (almeno in pubblico): non hanno la potenza di fuoco per opporsi all’impeto dei leader politici. E poco può fare l’opposizione, perché divisa e tutta concentrata su se stessa a sinistra oppure appesa al suo vecchio leader nel caso di Forza Italia. La strategia di Lega e M5S è dunque chiara sul piano del consenso e dei riflessi interni.

Resta però un tema internazionale, poiché l’Italia non è in grado di giocare da sola sullo scacchiere internazionale (come peraltro dimostra la vicenda libica degli ultimi due anni, dove il governo di Fayez al-Serraj da noi appoggiato non riesce a controllare la situazione ed è ormai più debole di quello del rivale Khalifa Belqasim Haftar appoggiato da egiziani, russi e, guarda caso, francesi).

Insomma il governo giallo-verde può fare a mazzate con Parigi e sbertucciare Juncker e gli attuali commissari Ue (che peraltro sono ormai tutti politicamente fuori gioco, compresa l’Italiana Mogherini). Ma non si illuda di fare da solo perché siamo piccoli (su scala planetaria), malandati e per giunta con una moneta “condivisa”.

Quindi, magari dopo il 26 maggio, servirà spiegare chi sono i nostri alleati. Ma non sarà possibile eludere la domanda.

Dibba

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