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Oggi è una giornata storica per l’Europa. L’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione del presidente della Commissione Jean-Claude Junker, infatti, è coinciso di fatto con il pronunciamento ufficiale che il Parlamento di Strasburgo ha preso sull’Ungheria, che adesso attende la ratifica degli Stati membri.

Ascoltando la relazione di ieri del presidente Orban si è avuto subito l’impressione che in discussione non fossero due interpretazioni diverse dell’Unione, ma due diverse concezioni dell’Europa stessa. Junker ha parlato, infatti, di nuove iniziative comunitarie, di investimenti verso l’Africa, di un rafforzamento dell’Euro, di una maggiore coesione tra i membri, ma ha escluso il nazionalismo; mentre Orban si è rivolto al Parlamento, sottolineando l’orgoglio patriottico, il consenso popolare ricevuto dal suo Paese, soprattutto la non sindacabilità dell’interesse nazionale, evitando di attaccare tuttavia l’Europa come tale. Non si può dire che margini di trattativa e di incontro non vi fossero. Ma, alla fine, la volontà di trovarsi non vi è stata.

In effetti, si sono confrontate due visioni filosofiche diverse che sono destinate ad essere e rimanere opposte, nonché probabilmente a crescere il rispettivo divario. Il nodo concreto è l’articolo 7 che prevede che l’Ue possa far scattare una serie di sanzioni verso un Paese membro che si schiera apertamente contro la partecipazione della nazione ai valori espressi dall’articolo 2, i quali vincolano a lottare contro l’esclusione sociale, le discriminazioni e le diseguaglianze individuali.

Le multe approvate oggi segnano, tuttavia, una frattura molto più grande che trascende la procedura di infrazione rilevata dal Parlamento, andando a definire l’incompatibilità tra la naturale sovranità degli Stati e la politica sovranità dell’Unione.

Si è mostrata, infatti, in modo iconografico nel voto la divergenza interna all’Unione sull’idea di Europa. Mentre i Conservatori si sono ovviamente opposti alle sanzioni e Socialisti, Liberali e Verdi, altrettanto logicamente, si sono schierati a favore, il vero nodo ha riguardato il Partito Popolare. La sua spaccatura è stata ufficializzata dalla libertà di voto che è stata concessa ai deputati. Vi sono state forze moderate che hanno sostenuto la linea anti-Ungheria, ma ve ne sono state altre, come Forza Italia, che hanno optato in favore di Orban, per altro membro del Ppe.

Una conclusione esplosiva che ha mostrato il totale frazionamento del grande centro a favore prevalentemente della sinistra, ma anche della destra. Per questo, in effetti, l’approvazione è stata un’assurdità e ha decretato la fine dell’alternativa unitaria dei Popolari, mettendo il sigillo su uno schema bipolare estremo, Socialisti-Nazionalisti, che dominerà mediaticamente le prossime elezioni del 2019.

Certo, la linea tradizionale dell’Unione ha vinto oggi, mettendo all’angolo un Paese guida dei sovranisti di Visengrad, ma le cose potrebbero certamente cambiare nella prossima Legislatura, quando i nazionalisti saranno forti ovunque. Tanto più che la tendenza crescente dell’elettorato europeo, non soltanto quell’orientale, tende a riconoscersi in un’Europa diversa, che abbia dei forti Stati nazionali a fare da contraltare alle istituzioni centrali incarnate da Parlamento e Commissione.

Sanzionare è stato, in breve, riconoscere solo un’idea di Europa, rendendo illegittima l’altra. Quindi ha dato ossigeno a chi l’alternativa federale la vorrà interpretare non come europea ma come antagonista all’Unione, escludendo di poter portare nell’alveo delle istituzioni ufficiali le attuali tendenze democratiche radicali che si esprimono anche nel nostro Paese come euroscettiche.

Oltretutto, il fatto che il M5Stelle abbia optato per Junker contro Orban, ha ricompattato il Centrodestra in vista non soltanto delle elezioni europee ma nella direzione di una futura maggioranza politica che possa far pesare i nostri interessi più e meglio di quanto non accada oggi con il Governo giallo-verde.

Quello che avrebbe bisogno il nostro continente è maggiore democrazia, una concreta rivitalizzazione della politica centrale attraverso il coinvolgimento e l’apporto proprio di queste nuove sensibilità nazionali che crescono ovunque, e che adesso sono state messe fuorilegge.

Il risultato è pertanto un suicidio previsto e perverso, essendo le sanzioni approvate l’ultima assurdità di un governo centrale il cui bilancio è totalmente fallimentare su tutti i fronti: dalla politica monetaria rigida e asfissiante alla politica estera, in grado solo di escludere i dissidenti in nome di valori fintamente universalisti e dogmatici in netto contrasto con la realtà storica e culturale delle diverse comunità nazionali.

Insomma, non ha vinto definitivamente un patriottismo illuminato, contro un nazionalismo esagerato, ma temporaneamente il centralismo dell’Unione contro la futura vincente democrazia degli Stati.

ungheria, Orban

Le sanzioni dell’Ue all’Ungheria? Un’assurdità secondo Ippolito

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