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Scisma: sembra proprio difficile usare una parola diversa per quanto riguarda la Chiesa ortodossa, dopo l’annuncio di Mosca di non riconoscere la decisione del patriarcato ecumenico di Costantinopoli di procedere verso la concessione dell’autocefalia alla Chiesa ucraina. Scisma, parola antica, che però non può essere evitata visto che la decisione comporta il divieto alla concelebrazione nelle chiese di Istanbul, Antalya e quasi tutte quelle greche e del Monte Athos per i chierici e alla partecipazione ai riti per i fedeli, anche se turisti. È come se un cattolico italiano non potesse partecipare all’eucarestia in una Chiesa cattolica francese.

Scisma però è una parola che da sempre si associa a dispute teologiche, dottrinali. L’ultimo che noi abbiamo conosciuto è lo scisma di monsignor Lefebvre che non ha riconosciuto le deliberazioni del Concilio Vaticano II ed è uscito dalla Chiesa cattolica proclamando quattro vescovi. Nel caso odierno la questione non riguarda alcun dogma, non riguarda la dottrina, non riguarda la Cristologia, riguarda la terra. Mosca rivendica la sua primazia, il suo “diritto canonico” su tutto il territorio ex-sovietico, integrato dai territori cinesi e giapponesi. È il territorio, cioè il potere, la questione in discussione, almeno per Mosca. Appare evidente una concezione imperiale, e risalta ancor di più la decisione di annunciare lo strappo (il significato della parola scisma è questo) da Minsk, capitale di quella Bielorussia che Mosca considera parte cruciale del suo territorio con l’Ucraina, ma dove c’è qualche malessere. Dunque davanti a quale strappo, a quel scisma siamo davanti? La risposta sembra “scisma da profezia” se vista dal punto di vista del coraggio del patriarca ecumenico Bartolomeo: l’equivoco interno alla Chiesa ortodossa non poteva permanere oltre se si considera che da anni russi e ucraini si combattono ferocemente: negare il diritto all’autonomia davanti a un conflitto armato non avrebbe significato negare a un popolo che si ritiene tale il diritto di esserlo? Dal punto di vista moscovita invece la questione è “scisma esistenziale”, ritenendo Mosca che Kiev è il luogo di nascita del cristianesimo russo e che non può essere separata da sé.

La storia non riesce a incontrarsi con la profezia, e questo fa temere che almeno per l’oggi nell’ortodossia russa prevarranno le tendenze più identitarie, nazionaliste, come quella che si richiama al mito della Terza Roma.
Ma il fatto che Vladimir Putin abbia discusso della questione con il suo Consiglio di Sicurezza aiuta a capire quanto la separazione tra fede e politica a Mosca sia a un punto diverso. Ecco che la richiesta di Mosca alle altre Chiese sorelle di pronunciarsi su quanto accaduto non può che allarmare, e molto. Cosa faranno le Chiese ortodosse di Siria, il patriarcato ortodosso di Gerusalemme dove è operativa la Società Imperiale Russa riaperta da Putin, le altre chiese orientali e poi quella serba? Cosa accadrà ora in Bosnia, dove Putin ha finanziato una cattedrale ortodossa a Bania Luka, capitale della Repubblica Serpska, intestata allo Zar Nicola?

La profezia di Bartolomeo, che vuole tenere l’ortodossia in rapporto con la storia, e le paure esistenziali russe, memori del loro impero, non sono conciliabili oggi. Domani la storia saprà dimostrare di non essere un incidente, ma nel frattempo il rischio è che altri incidenti antistorici possano aggravare il quadro. La grande eresia della Chiesa etnica, definita come tale dai concili ortodossi, può ritornare?

Uno scisma imperiale. Se Mosca non accetta la storia nel nome del suo passato

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